HOME | LA REDAZIONE

Orfani in cerca di identità: la corsa a ostacoli di chi vorrebbe conoscere i genitori naturali

Compiuti i 25 anni, i nati nell’anonimato possono chiedere di rintracciare la madre biologica. Ma la legge italiana riesce a tutelare entrambi?

Roma – In Italia sarebbero circa 3.000 ogni anno i neonati che vengono abbandonati sulle strade, nei  cassonetti o lanciati dalle finestre, secondo i dati riportati dall’associazione Amici dei Bambini  e dalla Sin Società italiana di neonatologia. Di questi, soltanto una modesta percentuale  sopravvive all’abbandono e sono solitamente quelli lasciati negli ospedali. 

Il DPR 396/2000 all’art. 30, comma 2 consente il cosiddetto parto in anonimato nella struttura  ospedaliera, cosicché la madre può scegliere di rimanere sconosciuta al proprio figlio ed al  piccolo di essere adottato da una delle famiglie selezionate e valutate dal Tribunale per i  minorenni competente per territorio. Ma il percorso non è scontato e soprattutto non immediato.  In alcuni ospedali italiani, circa 60, esistono le “culle termiche”, speciali incubatrici riscaldate  all’interno e monitorate costantemente con videocamera e collegate ad un allarme acustico e  visivo: così il personale medico e paramedico tiene il neonato sotto costante controllo. Nel  frattempo, il Tribunale per i minori ne dichiara lo stato di abbandono e l’adottabilità, ma i  genitori naturali possono chiedere di avere non più di due mesi per riconoscerlo e di  sospenderne l’eventuale adozione.

Tuttavia, una volta diventati adulti, compiuti i 25 anni – anche dopo il 18° anno di età in casi  particolari – quei bambini nati in anonimato posso chiedere di rintracciare la madre biologica,  nella speranza di poterla incontrare, conoscere le proprie origini e farsi raccontare la propria  storia e quella della madre. La normativa applicabile fa riferimento alla legge 184/1983, al c.d.  Codice Privacy ed alla pronuncia di circa 10 anni fa della Corte Costituzionale, la sentenza n.  278 del 2013, che ha dichiarato illegittimo parzialmente il comma 7 dell’art. 28 della legge 184, “come sostituito dall’art.177, comma 2 del D.L. 196/2003 (omissis) nella parte in cui non  prevede- attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza  – la possibilità di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai  sensi dell’art. 30, comma 1 D.P.R. 03.11.2000 n. 396 (omissis) – su richiesta del figlio, ai fini  di una eventuale revoca di tale dichiarazione.” In buona sostanza, una volta trovata la madre  naturale il Tribunale dovrà chiederle se quella decisione di molti anni prima intende mantenerla  oppure no. Così facendo, ancora oggi la legge non fornisce altri strumenti per conoscere le  proprie origini.

Sappiamo di alcuni casi di uomini e donne che hanno reso pubblica la loro storia.

Fabrizio di Livorno che a 42 anni si è messo alla ricerca dei suoi genitori naturali ed era stato  adottato quando aveva soltanto 18 mesi; nato a Firenze presso l’ospedale Meyer insieme al fratello gemello, si è rivolto al Tribunale per i minorenni di Firenze per fare la richiesta ufficiale  ed è ancora in attesa di risposte.

Daniela Molinari è stata adottata nel 1973 e tramite il Tribunale minorile è stata rintracciata la  madre biologica. In questo caso la figlia aveva chiesto di accedere ad una cura sperimentale  per curare il tumore dal quale era stata colpita e per farlo occorreva la mappatura del suo codice  genetico. Purtroppo la madre ha negato il consenso al prelievo di sangue ed al tampone salivare  che forse potevano salvare la figlia.

Maria Elena Lombardo quando è nata, a dicembre del 1997, la madre biologica aveva 15 anni  ed aveva nascosto la sua gravidanza a tutti, anche ai suoi genitori. Adesso sua figlia la vuole  conoscere e per farlo a postato un video su TIK TOK: “La voglio ringraziare – ha detto – perché  mi ha fatto nascere!”. Ancora non sappiamo se ha realizzato il suo desiderio ma questo video  messaggio ha ottenuto oltre 9000 visualizzazioni e più di 3000 commenti.

Anche su questo delicatissimo argomento, l’Italia non pare volersi adeguare alla normativa  CEDU, in particolare all’art. 8 che prevede “il rispetto della vita privata e familiare”, come  ritroviamo sancito nella sentenza Godelli contro Italia 25.09.2012, con cui la Corte europea ha  rilevato l’assenza nella nostra legislazione nazionale del corretto bilanciamento degli interessi della madre e del figlio, da tutelare adeguatamente entrambi.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa