Ora come allora: non ho ucciso l’ispettore

Si professa ancora innocente Antonino Speziale, l’ultrà catanese che ha scontato 8 anni e 8 mesi di carcere per l’omicidio dell’ispettore capo Filippo Raciti. Forse verrà richiesta la riapertura del caso.

CATANIA – Dopo 17 anni si ritorna a parlare dell’omicidio dell’ispettore Filippo Raciti, ucciso il 2 febbraio del 2007 durante gli scontri fra opposte tifoserie dentro lo stadio Massimino di Catania. Il caso giudiziario è stato affrontato nella sesta ed ultima puntata del docufilm “Gioco Sporco – I Misteri dello Sport”, andata in onda su Italia 1 lo scorso 28 marzo. Nel documento filmato sono state ripercorse le tappe della controversa vicenda che fece scalpore tanto da sospendere le partite di calcio in tutta Italia.

A destra Filippo Raciti, l’ispettore capo ucciso durante il derby Catania-Palermo

A seguito dell’inchiesta dell’epoca finirono dietro le sbarre, poi con condanna definitiva, due ultras catanesi: Antonino Speziale che ha scontato 8 anni e 8 mesi di reclusione, e Daniele Micale che ha pagato il suo debito con la giustizia dopo 11 anni di carcere. In trasmissione Speziale, ieri come oggi, si è professato innocente e le sue parole, durissime, hanno fatto più effetto oggi di quanto non ne abbiano fatto subito dopo l’arresto:

”Uno dei miei sogni più grandi – ha detto Speziale – è svergognare l’Italia e far capire l’errore giudiziario che è stato commesso. Fu decisiva una manovra sbagliata di un suo collega. Per l’ultrà etneo, ma anche per altri, Raciti fu vittima di un tragico incidente, di quel “fuoco amico” che più volte era tornato alla ribalta delle cronache con ricchezza di particolari: un Discovery della polizia, facendo retromarcia, avrebbe investito l’ispettore causandogli contusioni rivelatesi mortali. Raciti si trovava in servizio allo stadio Massimino durante il derby Catania-Palermo. Per sedare le risse fra i tifosi delle opposte fazioni sportive il sottufficiale sarebbe stato colpito da un sottolavello di lamiera che ne avrebbe provocato il decesso.

Questa tesi accusatoria aveva tenuto banco durante tutti e tre i gradi di giudizio nonostante la strenua difesa dell’avvocato penalista Peppino Lipera che si è battuto per dimostrare, con diverse perizie, l’innocenza di Speziale:

”Per quasi tutto il mondo io sono l’assassino dell’ispettore Raciti – ha aggiunto l’ultrà catanese – Mi è cambiata la vita, mi hanno fatto pagare un omicidio che non ho commesso. Ma sono sereno con la mia coscienza, non ho ucciso Raciti e ho pagato tutta la mia pena fino all’ultimo giorno…Mi piaceva fare scontri. Non ho mai nascosto che il mondo ultras mi è sempre piaciuto, ne ho sempre fatto parte e ne faccio parte tutt’ora. Non ho ucciso io l’ispettore di polizia”.

Poi i tre processi i cui giudici non hanno avuto dubbi nel considerare colpevoli Speziale e Micale:

Peppino Lipera, il penalista difensore di Speziale

” Dal 2007 lancio appelli e ho sempre chiesto di parlare – ha aggiunto Lipera – Chiunque avesse avuto delle informazioni avrebbe potuto giocare un ruolo determinante. Adesso sono arrivate diverse testimonianze: quando esse saranno divenute dei verbali allora chiederemo la revisione del processo. Speziale è innocente… Le risultanze delle indagini apparivano lacunose e anche la sentenza della Cassazione in istruttoria lo dice. Ma basti pensare che il rinvio a giudizio in prima battuta per Speziale era per omicidio volontario e poi degradato in preterintenzionale. E stiamo parlando di un omicidio senza testimoni, con la scena del lancio del sottolavello non vista da nessuno e con le risultanze scientifiche che hanno escluso che quell’oggetto potesse essere compatibile con le ferite mortali che hanno provocato il decesso dell’ispettore.

Di questo caso ne parla tutta Italia, le persone per strada mi fermano e mi chiedono informazioni, mi chiamano da Aosta a Palermo, mi scrivono per esprimere solidarietà al ragazzo. Un caso divenuto di dominio pubblico. Per me è una ferita aperta. Spero che prima di morire venga riconosciuta l’innocenza di Speziale…”.

All’epoca dei fatti ci furono problemi con le telecamere installate nello stadio, non ci furono testimoni durante la fase cruciale del delitto e il famoso “sottolavello” non sarebbe stato compatibile con le contusioni riportate dalla vittima, poi deceduta in ospedale:

” Io non sento di perdonare nessuno – ha continuato Marisa Grasso, vedova Raciti – La mia forza nell’affrontare questa tragedia è stata nel credere tanto in Dio e nella vita. Sono uscita dai tribunali con delle sentenze che però non mi hanno restituito qualcosa. Non ho più motivo di sentire i nomi di questi soggetti. I loro nomi e il loro pensiero devono stare lontano da me e dai miei figli”.

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