Omicidio Michelle, il giallo dei messaggi dal carcere di Treviso. Direttore smentisce

Le accuse del padre della ragazza sull’utilizzo dei social da parte del killer. Monaco: “Capisco il dolore ma internet qui è controllato”.

Roma – Michelle Causo e il mistero dei presunti messaggi inviati da Treviso, dove è detenuto il ragazzo oggi maggiorenne accusato dell’omicidio della ragazza romana trovata morta in un carrello della spesa a Primavalle. Il padre, Gianluca Causo, a un anno e due mesi dall’omicidio della figlia Michelle non dorme più la notte, e all’Adnkronos racconta di messaggi provocatori ricevuti da profili falsi sui social con indirizzo Ip sempre Treviso, la stessa città dove si trova recluso il ragazzo. “Dal carcere si collega in rete e si prende gioco di noi”, accusa.

Dall’altra parte c’è il direttore di un Istituto Penale per Minori che scoppia, con venti detenuti, erano venticinque fino a pochi giorni fa, su una capienza regolamentare di dodici. “Da padre di cinque figli capisco il papà di Michelle – dice -, ma smentisco categoricamente l’uso indiscriminato di internet dal carcere”. Due mesi fa sulla vicenda era intervenuto anche il Sottosegretario alla Giustizia con delega ai minori Andrea Ostellari, confidando che fossero fatti “accertamenti sul presunto accesso ai social del giovane cingalese, reo confesso dell’omicidio di Michelle Causo”.

Un’immagine della vittima sul luogo del delitto

Il padre della vittima è convinto che chi le ha ammazzato la figlia abbia avuto accesso a internet durante l’ora di informatica: “Lo ha riferito un poliziotto penitenziario, seppur in forma anonima – ribadisce all’Adnkronos – Che interesse avrebbe a dire una cosa del genere e perché non fanno le opportune verifiche?”. “Smentisco nel modo più assoluto – risponde Girolamo Monaco, direttore dell’Ipm di Treviso -. Bottega Grafica è un corso di grafica pubblicitaria; il professore è stato da me autorizzato ad accedere a YouTube per far vedere alcuni video legati alla materia”. “Prima hanno negato qualsiasi collegamento alla Rete durante la lezione di informatica, ora lo ammettono, ma con questa nuova precisazione – ribatte il papà di Michelle – A me intanto continuano ad arrivare messaggi da Treviso. Pretendo che Nordio mi dia spiegazioni, che il poliziotto che ha raccontato dei collegamenti a internet venga ascoltato”.

“Questo ragazzo – continua il direttore dell’Ipm, riferendosi al giovane cingalese accusato del delitto – è un detenuto come tutti gli altri, che soffre la sua detenzione come tutti gli altri. Non è l’unico omicida che io ho qui. Non è l’unico imputato per violenza. Lui è il figlio di questa cultura, partecipa alle attività con gli altri, nella normalità. Non emerge per leadership. Anche perché lui conosce bene l’esperienza di Roma dove è stato e dove non è potuto restare perché lì veniva vessato, insultato. Quindi qui ha un profilo molto basso, assolutamente non crea problemi. Perché, non potendo rimanere a Roma, è venuto qui? Perché tra tutti gli istituti dove avrebbero potuto mandarlo, hanno individuato Treviso? Perché poi noi riusciamo a impugnare e a gestire le situazioni, non le nascondiamo. Lui sta facendo il suo percorso anche di responsabilità rispetto al reato”.

Il dolore della famiglia

Infine, punta l’attenzione sulle condizioni nella struttura: “Il mio problema qui non è né la fuga, né la rissa o la rivolta. Il mio problema in questo momento è la scabbia che affligge diversi detenuti. Il mio problema è il caldo nelle celle. Il mio problema è il sovraffollamento – insiste Monaco – Io sento veramente da cittadino, da padre, tutta la sofferenza del papà di Michelle e sento anche la sua solitudine, perché in un percorso di giustizia riparativa anche lui doveva essere seguito e sostenuto. E invece di fatto è abbandonato. Lui qui nella sua rabbia ha chiamato più volte, lamentandosi, ma questo non è un albergo, questo è un carcere della Repubblica Italiana sottoposto alle leggi dello Stato italiano. E su questo garantisco io”.

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