L’uomo sarebbe stato ucciso e poi bruciato dal figlio e dalla moglie che avrebbero voluto mettere le mani sul cospicuo patrimonio della vittima. Soldi che l’infermiere aveva risparmiato per assicurare un futuro più roseo al suo primogenito rinviato a giudizio come presunto patricida.
VIBO VALENTIA – Non era suicidio. L’infermiere è stato ucciso e poi bruciato. A giudizio la moglie, il figlio, l’amante della donna, una vicina di casa e i due cognati della vittima. Il movente? I soldi che la vittima conservava sul conto corrente, polizze vita e qualche investimento. Nicola Colloca, 49 anni, infermiere specializzato del 118 di Vibo Valentia, spariva di casa il 25 settembre 2010 dopo un violento quanto strano litigio in famiglia. L’uomo era tornato a casa dal lavoro ma si era svegliato di soprassalto perché la moglie Caterina Gentile, oggi di 50 anni, il figlio Luciano Colloca di 28 e una vicina di casa, Caterina Magro di 43 anni, si stanno scambiando accuse e parolacce.
La moglie di Nicola diceva alla vicina di sapere che lei se la intendeva col marito da mesi. Anche il figlio Nicola inveiva contro Caterina Magro che ammette la relazione proprio quando in cucina entra l’infermiere che nega qualsiasi tresca fra lui e quella donna che conosce soltanto come l’inquilina del piano di sopra. La presunta amante lo accusa di essersi invaghito di lei e di aver consumato quel rapporto più volte. Nicola nega decisamente poi quando vede che i toni si alterano prende chiavi e libretto dell’Opel Corsa bianca, munita di impianto Gps, è fugge via da casa. L’auto fa un percorso tortuoso e inspiegabile. Alle 17.50 si sposta da casa, alle 17. 59 si ferma in via Antonio Proto, sempre a Vibo Valentia, poi riparte e si ferma alle 18.09 in prossimità del locale obitorio, in via Angelo Leone, per poi ripartire alla volta di un distributore di benzina, a Sant’Onofrio, sulla Statale 606 dove si ferma alle 18.27. Alle 18.29 alcune telecamere di via Domenico Nano, nel comune di Sant’Onofrio, inquadrano l’auto che si dirige in località Gutumara di Pizzo Calabro dove il segnale del Gps si interrompe alle 04.10 del giorno seguente. Chi c’era dentro l’auto in uso all’infermiere? Lui era già morto e qualcuno stata organizzando la messinscena del suicidio? All’alba un forestale nota l’auto carbonizzata e avvisa i carabinieri.
Sono le 10 circa del 25 settembre ma nessuno dei familiari ha fatto denuncia di scomparsa. Moglie e figlio della vittima diranno che il congiunto si sarebbe suicidato per gravi problemi sul lavoro ma il padre della vittima Antonio Colloca e la figlia Francesca, dopo aver chiesto informazioni ai colleghi del povero Nicola, smentiscono questa ipotesi:
”…Mio figlio non aveva problemi sul lavoro – afferma Antonio Colloca – e non aveva motivi per uccidersi. Dopo la chiusura delle indagini per suicidio siamo riusciti a dimostrare che mio figlio è stato ammazzato e poi bruciato…”.
Una volta riaperte le indagini da parte del Pm Michele Sirgiovanni e grazie alla collaborazione dei familiari della vittima, del Ctu Giuseppe Arcudi, anatomopatologo, del legale di fiducia della famiglia Colloca, l’avvocato Diego Brancia, e della nota criminologa Simonetta Costanzo, i magistrati inquirenti della Procura di Vibo decidevano di riesumare il cadavere della vittima e scoprivano uno scenario raccapricciante. Nicola Colloca non si era affatto ucciso. L’uomo sarebbe stato colpito al capo con il calcio di una pistola durante quel maledetto litigio in casa e la mano assassina sarebbe stata quella del figlio Luciano mentre la mente del piano criminoso sarebbe quella di Caterina Gentile, moglie della vittima, con la complicità di Caterina Magro, 43 anni, e di Michele Rumbolà di 64 anni, amante da anni della presunta mandante dell’omicidio.
Rinviati a giudizio anche Nicola e Domenico Gentile, di 56 e 44 anni, fratelli della “mantide” vibonese. Alla sbarra anche i coniugi Domenico Antonio Lentini, di 58 anni, e Romanina D’Aguì di 54 anni. Secondo l’accusa Nicola sarebbe stato ucciso in casa e poi trasportato nella boscaglia dove l’auto sarebbe stata cosparsa di benzina (acquistata al distributore di Sant’Onofrio) e poi incendiata da Luciano Colloca, stante le nuove indagini e diverse intercettazioni. I primi sei imputati sono stati rinviati a giudizio per omicidio volontario e distruzione di cadavere. Gli ultimi due per favoreggiamento.