Secondo la procura, che presenterà appello, 27 anni fa la donna avrebbe ucciso la segretaria del commercialista di Chiavari mossa da rancore e gelosia.
Genova – Il 6 maggio 1996 l’omicidio di Nada Cella, massacrata nello studio di commercialista di Chiavari dove lavorava, sconvolse il Paese, a molti sembrò un delitto fotocopia di quello di Simonetta Cesaroni, uccisa l’estate di sei anni prima a Roma. Entrambe giovani segretarie ammazzate sul posto di lavoro da killer che per la giustizia si sarebbero trasformati in fantasmi. Adesso la similitudine tra i due cold case più famosi d’Italia rischia di diventare assoluta, negando a Nada come a Simonetta ogni forma di giustizia..
Il gip Angela Nutini ha deciso, infatti, di non rinviare a giudizio Annalucia Cecere, 58 anni, la donna per la quale la pm Gabriella Dotto, da tre anni al lavoro sul nuovo filone dell’inchiesta, aveva chiesto il rinvio a giudizio indicandola come l’assassina di Nada. Niente processo nemmeno per Marco Soracco, 61 anni, il titolare dello studio di commercialista che era accusato di favoreggiamento e false informazioni al pm, così come la madre di lui, Marisa Bacchioni di 92 anni. Vista la mole di lavoro spesa sula caso è probabile che la procura presenterà appello.
Secondo la pm, Cecere avrebbe ucciso Nada per motivi di rancore e gelosia verso la vittima, per via della posizione da lei occupata all’interno dello studio di Soracco e la sua vicinanza al commercialista, il quale – sempre secondo la versione dell’accusa non accolta dalla gip – insieme alla madre, sarebbe stato consapevole della consapevole della Cecere, avendola addirittura sorpresa nello studio con ancora le mani insanguinate e il corpo di Nada a terra.
A quasi 27 anni di distanza dall’omicidio, gli ultimi barlumi di luce sulla verità, speranza alle quali erano aggrappate con tenacia sia la madre di Nada, Silvana Smaniotto, che la sorella, sembrano essersi spente. Va contemporaneamente ricordato che Annalucia Cecere ha sempre respinto le accuse, negando ogni suo coinvolgimento nella vicenda, così come pure una relazione con il commercialista Soracco che sembrava invece emergere dalle carte dell’inchiesta.
Ni giorni e nelle settimane che seguirono l’omicidio, Marco Soracco venne inizialmente sospettato, più volte interrogato e poi prosciolto da ogni accusa. Già all’epoca, però, l’inchiesta apparve macchiata da sottovalutazioni ed erronee valutazioni di alcuni elementi rilevanti, non da ultimo una serie di testimonianze cadute nel vuoto, che avrebbero potuto fornire nuova luce al quadro generale. Inoltre, gran parte degli atti andarono in seguito perduti durante un alluvione che invase gli scantinati dell’allora palazzo di giustizia di Chiavari.
Su quelli che si sono salvati hanno lavorato la criminologa Antonella Delfino Pesce, alla quale si deve principalmente la riapertura del caso, insieme all’avvocata Sabrina Franzone, legale della mamma di Nada. Sforzo congiunto i cui risultati avevano permesso alla procura di costruire un nuovo castello accusatorio. Prove e indizi che però il gip non ha ritenuto sufficienti.