Dall’ergastolo per il femminicidio alle politiche di prevenzione: perché l’Italia deve investire sulla tutela anticipata delle donne.
Il recente disegno di legge che introduce il reato di femminicidio, punito con l’ergastolo, rappresenta un ulteriore inasprimento del sistema penale italiano nella lotta alla violenza di genere. Dopo il Codice Rosso e la Legge Roccella, il legislatore continua a percorrere la strada della repressione, aumentando le pene e introducendo nuove aggravanti. Tuttavia, questa strategia, pur necessaria, rivela i suoi limiti strutturali: le leggi punitive intervengono quando ormai è troppo tardi.
Il paradosso della giustizia penale
L’ergastolo per femminicidio rappresenta il massimo della deterrenza penale ma si applica solo dopo che una donna è già morta. È il paradosso del sistema repressivo: più severe sono le pene, più grave è il danno che si è già consumato. Una donna uccisa non può beneficiare della giustizia che la vendica, né può essere risarcita dalla condanna del suo assassino, per quanto severa essa sia.

I dati parlano chiaro: nonostante l’introduzione del Codice Rosso e i successivi inasprimenti normativi, i femminicidi in Italia non sono diminuiti in modo significativo. Questo dovrebbe far riflettere sull'(in)efficacia di un approccio prevalentemente punitivo e spingere verso strategie complementari di prevenzione.
I “reati spia”: segnali d’allarme da non sottovalutare
Il Codice Rosso e la successiva Legge Roccella hanno introdotto un concetto fondamentale: quello dei “reati spia”. Si tratta di comportamenti apparentemente meno gravi – come minacce, molestie, danneggiamenti, violazione del domicilio – che in realtà rappresentano campanelli d’allarme di una escalation che può sfociare nella violenza estrema.
La riforma ha accelerato i tempi delle indagini, introducendo l’obbligo per il pubblico ministero di sentire la vittima entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Ha inoltre rafforzato l’uso del braccialetto elettronico, introdotto l’arresto in “flagranza differita” basato su prove video o digitali e la possibilità di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare anche senza flagranza di reato.
Tuttavia, anche questi strumenti, pur innovativi, mantengono un approccio prevalentemente reattivo: intervengono quando i primi segnali di violenza si sono già manifestati. La vera sfida rimane agire ancora prima, quando la spirale della violenza non è ancora iniziata.
L’urgenza della prevenzione primaria
Serve quindi creare un sistema di tutela anticipata che intervenga prima che la violenza arrivi a un punto di non ritorno. Questo significa investire massicciamente in:
Educazione e cultura con programmi scolastici strutturati fin dalle elementari per educare al rispetto di genere e alle relazioni non violente. La violenza contro le donne affonda le sue radici in stereotipi culturali radicati che vanno scardinati fin dall’infanzia.
Sostegno economico e abitativo. Molte donne rimangono intrappolate in relazioni violente per dipendenza economica. Garantire autonomia economica, alloggi protetti e percorsi di reinserimento lavorativo significa offrire alternative concrete alla convivenza con la violenza.
Servizi territoriali capillari. Centri antiviolenza, consultori, servizi sociali devono essere potenziati e distribuiti omogeneamente sul territorio, specialmente nelle aree rurali dove l’isolamento amplifica il rischio.
Formazione degli operatori. Non solo magistrati ma anche forze dell’ordine, medici, insegnanti, assistenti sociali devono essere formati per riconoscere i segnali precoci della violenza e intervenire efficacemente.
Il costo dell’inazione
Investire nella prevenzione non è solo una questione etica ma anche economica. Ogni femminicidio rappresenta un fallimento collettivo che ha costi sociali enormi: bambini rimasti orfani, famiglie distrutte, risorse giudiziarie impegnate in processi e detenzioni, senza contare il valore inestimabile di una vita umana spezzata.

La prevenzione richiede investimenti iniziali significativi ma produce benefici duraturi riducendo non solo i femminicidi ma l’intera piramide della violenza di genere: dai maltrattamenti allo stalking, dalla violenza psicologica a quella fisica.
Una strategia integrata
Non si tratta di scegliere tra punizione e prevenzione ma di costruire un sistema integrato dove la deterrenza penale si accompagni a politiche preventive efficaci. Il nuovo reato di femminicidio può avere un valore simbolico importante nel riconoscere la specificità di questi crimini ma deve essere affiancato da strumenti che proteggano le donne prima che diventino vittime.
La violenza di genere è un’emergenza nazionale che richiede la stessa determinazione: non basta punire i colpevoli. Perché una donna morta non può essere risarcita da nessun ergastolo.