Offese all’avvocato Lipera sul caso di Sarah: per il gip di Catania la diffamazione non c’è

L’Avvocatura dello Stato definì la sua tesi difensiva frutto di “farneticanti elucubrazioni”. Ma il giudice “è solo un’espressione infelice”.

Catania – Si conclude con l’archiviazione la querelle giudiziaria tra l’avvocato Giuseppe Lipera, difensore della ragazza italo-tunisina Sarah Ben Daoud raggiunta da un provvedimento di espulsione – e l’Avvocatura dello Stato, nello specifico il collega Angelo Francesco Nicotra, che nella memoria depositata aveva bollato la tesi difensiva come frutto di “farneticanti elucubrazioni – dal valore più politico che giuridico – sulla cittadinanza della ragazza”. Parole che hanno indotto Lipera a chiederne prima la cancellazione e in seconda istanza a querelare il collega dell’Avvocatura per diffamazione. Ebbene, per il gip del Tribunale di Catania Maria Ivana Cardillo si tratta di una “espressione infelice” che però non integra alcun reato, bensì un semplice “giudizio negativo ragionato, sia pure aspro e forte”.

“Farneticanti elucubrazioni” è dunque una frase negativa composta da un aggettivo e un sostantivo “forti e pungenti” ma il reato contro Lipera non esiste. Della querela la Procura etnea aveva chiesto l’archiviazione, ma il legale della difesa non intendeva fare sconti e si era opposto. Il Gip Cardillo si era riservata di decidere sull’opposizione all’archiviazione del caso dopo che la Procura voleva chiuderlo nel dimenticatoio. Nessuna diffamazione, ha sentenziato oggi. Perché quell’espressione “non assume un significato offensivo della dignità umana e professionale dell’Avvocato Lipera”. E non rappresenta una “aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del legale”.

L’avvocato Lipera con la madre di Sarah

La pensava e la pensa diversamente l’avvocato di Lipera, Grazia Coco, che auspicava che la richiesta fosse accolta anche perché, aveva fatto notare “in caso contrario passerà il principio che gli Avvocati potranno permettersi di utilizzare nei confronti di colleghi avversari, e quindi anche dei magistrati, espressioni sconvenienti, che ledono la dignità della toga, della professione e offendono la persona, senza incorrere a nessun tipo di responsabilità”.

Anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania nella seduta del 21 maggio aveva stigmatizzato l’accaduto, ribadendo che “l’irrinunciabile tutela della dignità della professione forense impone di sottolineare, in via generale, la necessità dell’osservanza del principio di continenza nella redazione degli atti difensivi”. E aveva deciso di aprire un fascicolo a tutela di Lipera. Infine, il direttivo della Camera penale Serafino Famà di Catania aveva espresso solidarietà a Lipera: “parole intollerabili” quelle contro Lipera. Tutto è avvenuto nel processo sul caso di Sarah, nata a Catania, la ragazza che in città aveva lasciato la mamma e tre fratelli solo perché rapita dal padre.

La madre l’ha aspettata per anni, tentando invano, purtroppo, tutte le strade per farla tornare già da minorenne. Ha tentato innumerevoli volte di ricongiungersi alla amata madre, ma le “macchinazioni burocratiche del nostro Ordinamento gliel’hanno sempre impedito”, aveva argomentato Lipera nel ricorso contro il provvedimento del Giudice di pace che si è dichiarato incompetente per territorio a decidere sul decreto di espatrio emesso dal Questore di Trapani nei confronti della 20enne. Che era stata costretta a raggiungere Catania, la mamma e i fratellini, con un gommone, dopo un viaggio di quattordici ore, per colpa della burocrazia del nostro Paese.

Poi era finalmente tornata a casa propria, con la sua mamma e i suoi fratelli: né politica né diritto possono permettersi di dire che Sarah non sia in casa propria!“. Nelle note, in maniera preliminare, l’avvocato Lipera contestava un passaggio della memoria presentata dall’Avvocatura dello Stato per conto della Questura di Trapani in cui si affermava “è bene, però, subito fugare ogni dubbio in relazione alle farneticanti elucubrazioni – dal valore più politico che giuridico – sulla cittadinanza della ragazza”. Per il legale la frase era “assolutamente offensiva e ingiuriosa oltre che errata, inappropriata per un atto difensivo e del tutto superflua” e ne chiedeva “l’immediata cancellazione dagli atti di causa”, riservandosi di “di ricorrere alle Autorità competenti al riguardo”. 

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