Diversi testimoni sconfessano l’imputato che racconta una versione dei fatti piuttosto fantasiosa. Agata gli avrebbe fatto la corte ma lui ha sempre respinto le avance. Poi la ragazza disabile sarebbe rimasta incinta dello “zio” ma solo il ritrovamento del cadavere potrebbe chiarire questo ed altri aspetti inquietanti.
ACIREALE (Catania) – Non sarebbe stato lui a uccidere Agata Scuto, 22 anni, la disabile di Acireale, in provincia di Catania, sparita nel nulla il 4 giugno del 2012, il cui cadavere non è stato mai ritrovato. L’unico imputato per omicidio e occultamento di cadavere è Rosario Palermo, detto Saro, 61 anni, ex compagno della madre della vittima che si è sempre professato innocente.
Il processo, che va avanti dall’ottobre scorso, è entrato nella sua fase cruciale durante la quale Palermo, difeso dall’avvocato Marco Tringali, ha parlato per oltre due ore. L’uomo ha ricostruito la propria versione dei fatti anche in merito alla scomparsa di Agata. Palermo, quel giorno, si sarebbe trovato nella zona di Scordia, in provincia di Catania, a cercare lumache con Michele Bella. Quest’ultimo, sentito come teste, ha smentito la dichiarazione dell’imputato spiegando di aver conosciuto Palermo due anni dopo la sparizione e che lo stesso imputato gli avrebbe chiesto di confermare la sua versione dei fatti per crearsi un alibi:
”È un imbroglione – ha replicato Palermo in aula – ho saputo della scomparsa di Agata da uno dei suoi fratelli, Gianluca, che mi ha detto della fuga a Messina con un ragazzo rumeno di 24 anni…”. Pare che l’imputato, a suo dire, abbia poi rivisto Agata in compagnia di un ragazzo biondo con gli occhi chiari ma non avrebbe fatto nulla per fermarla:
”Ero in auto e non sono sceso perché c’erano altre macchine – ha raccontato Palermo – ho detto solo: Agata, vai a casa che tua mamma piange…Ho rifatto il giro ma non c’era più. Poi siamo tornati con Mariella, ma niente”.
Nell’udienza dello scorso 16 maggio dunque Saro Palermo ha risposto a tutte le domande del pubblico ministero e degli avvocati dichiarando, preliminarmente, di “parlare con il cuore sulle mani”. L’uomo era stato il compagno di Mariella Palermo, e le avrebbe ucciso la figlia perché sarebbe rimasta incinta di un bimbo suo. Ipotesi questa avvalorata da una confidenza che Agata avrebbe fatto alla madre dicendole di non avere più il ciclo mestruale e da una frase scritta sul diario della vittima: ”Mamma cornuta”.
Palermo, a proposito, seguitava con l’esporre alla Corte altri particolari: ”Una sera Agata è entrata nel mio letto – racconta Palermo – io ero sdraiato sotto il lenzuolo e lei si è seduta accanto ai miei piedi. Quando le ho chiesto cosa stesse facendo mi ha risposto: “Ti sto facendo compagnia“.
Mentre la madre della ragazza era in bagno a fare la doccia, Palermo avrebbe redarguito la giovane invalida invitandola a tornare nella propria stanza ma Agata avrebbe risposto di no a colui che chiamava “zio” rincarando la dose: “Qui non comandi tu, comando io perché è casa mia”. Tali episodi, secondo l’imputato, si sarebbero ripetuti nel tempo:
“È successo poi altre due o tre volte, nonostante i rimproveri – evidenzia Palermo – Agata non lo capiva, ma io c’avevo vergogna. Per questo ho chiesto a Mariella di chiudere la porta a chiave quando usciva per andare in bagno”.
Poi l’argomento più importante ovvero la spiegazione dell’imputato alle intercettazioni telefoniche che lo inchioderebbero alle sue responsabilità. A suo tempo le cimici avevano registrato una conversazione tra Palermo e Sebastiano Cannavò, un amico imputato in un procedimento connesso per favoreggiamento:
”Se trovano il telefonino mi arrestano – confida l’imputato all’amico – la cosa è brutta perché io con questa ragazza ci scherzavo, ci facevo: “Agata, tua madre c’è? Quando vengo ti faccio fare un giro”. Palermo avrebbe spiegato quelle risposte con la sua consapevolezza al riguardo di quelle frasi che potevano essere pericolose:
“Avevo paura che potessero incolpare me”. Poi seguono altre domande su diverse intercettazioni fra Palermo e la sua attuale compagna, Sonia Sangiorgi, attualmente indagata per favoreggiamento, relative al luogo, in tenere di Randazzo, dove l’uomo avrebbe sotterrato un “coso” ovvero un tondino di metallo sporco di sangue poi repertato dai carabinieri: ”Sono stato un cretino, sapevo che avrebbero incolpato me, ma io non ho fatto nulla”.