Vieri Adriani: “Confrontare il Dna con i profili genetici conservati dalla Procura di Firenze, mai resi pubblici”.
Firenze – Dopo l’identificazione di un Dna sconosciuto su uno dei proiettili usati per uccidere Jean Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, le indagini sul Mostro di Firenze potrebbero giungere a una svolta. L’avvocato Vieri Adriani, legale di parte civile per i familiari della coppia francese assassinata nel settembre 1985 a Scopeti di San Casciano, ha avanzato l’idea di riesumare alcune delle vittime del Mostro di Firenze per prelevare campioni di DNA. Secondo Adriani, esistono possibilità scientifiche di effettuare confronti con i numerosi profili genetici già disponibili presso la procura, i quali non sono mai stati resi pubblici.
Adriani propone di confrontare il DNA ritrovato nel 2015 sull’ogiva di un proiettile estratto da un cuscino della tenda di Scopeti, con i profili genetici presenti presso la procura fiorentina. Questo DNA sconosciuto, individuato di recente, risulterebbe compatibile con altri campioni trovati su due bossoli relativi a delitti avvenuti nel 1983 (Giogoli) e nel 1984 (Vicchio), rispettivamente dove furono uccisi due giovani tedeschi e la coppia Claudio Stefanacci e Pia Rontini.
L’avvocato ritiene che ci siano le condizioni per prelevare campioni dai resti di vittime che, come Stefania Pettini (uccisa nel 1974) o Jean-Michel Kraveichvili (ucciso nel 1985), hanno interagito fisicamente con il loro aggressore. Nonostante siano trascorsi decenni, i resti potrebbero ancora contenere tracce del DNA dell’assassino. Adriani si riferisce alla letteratura scientifica e al lavoro di Lorenzo Iovino, medico italiano operante in California, che ha approfondito la possibilità di estrarre DNA dai resti di vittime di crimini violenti anche dopo molti anni, rendendolo utile per confronti con soggetti viventi o deceduti.
“Vale la pena tentare, data l’importanza del caso”, conclude Adriani, sottolineando che è molto probabile che più persone siano state coinvolte nei delitti, e che l’eventuale scoperta di un DNA associabile con certezza agli omicidi non escluderebbe le responsabilità già accertate nei processi.
Nei giorni scorsi Tiziana Bonini, la cugina di Stefania Pettini, intervistata dal quotidiano la Repubblica si era detta disposta a collaborare per eseguire il test del Dna sui resti. “Se dovessero chiedermi l’autorizzazione per riesumare il corpo di Stefania dicendomi che esiste anche solo una possibilità di scoprire la verità, io gliela darei. Non ci ho dormito la notte prima di rispondere. Sono passati 50 anni, ma io ho sempre detto che non voglio morire senza sapere chi l’ha uccisa e perché lo ha fatto”.
“Alle indagini è mancato qualcosa – ha spiegato al quotidiano romano la donna, oggi 67enne, -. La scena del delitto di Stefania non fu recintata, entrarono decine di persone. La sua borsa fu trovata in un fosso ma si seppe solo anni dopo. Leggende, falsità e cattiverie su quanto successo. Se adesso ci fosse la possibilità di trovare l’assassino, io non posso negarla”.