La nota: il decreto 37 “altera l’obiettivo originario dell’accordo. Non viene indicato alcun criterio sulle persone spostate dai Cpr italiani”.
Roma – Amnesty International ha sollecitato il Governo italiano a interrompere immediatamente i trasferimenti forzati in Albania delle persone detenute nei Centri per il rimpatrio (Cpr) italiani, che altro non sono se non un disperato tentativo di riattivare il protocollo con Tirana, illegale e costoso e rappresentano tanto un ulteriore passo indietro nella gestione della migrazione da parte dell’Italia quanto un esempio di totale disprezzo per i diritti umani. Il 28 marzo il governo italiano ha approvato in tutta fretta il decreto 37, che prevede il trasferimento forzato nei centri albanesi delle persone soggette a un provvedimento di espulsione e già trattenute nei Cpr italiani.
Il decreto “altera l’obiettivo originario dell’accordo, che prevedeva il trasferimento in Albania delle persone rintracciate in mare e sottoposte a procedure accelerate di frontiera, con lo scopo finale di effettuare rimpatri rapidi, a scapito dei diritti e della sicurezza delle persone”, si legge in una nota. “I trasferimenti in Albania dal mare aperto sono attualmente sospesi, in seguito a diverse sentenze dei tribunali italiani che hanno respinto gli ordini di detenzione in Albania in quanto non conformi al diritto italiano ed europeo. Nel decreto 37 non viene indicato alcun criterio alla base del trasferimento e della detenzione delle persone oggi spostate dai Cpr italiani, che potrebbero dunque essere sottoposte a decisioni arbitrarie e discriminatorie”, sottolinea Amnesty. Da tempo Amnesty International evidenzia che i trasferimenti forzati in centri di detenzione extraterritoriali “violano il diritto alla libertà, all’accesso alla giustizia e alle garanzie procedurali fondamentali e rendono estremamente difficile un monitoraggio indipendente”.

Amnesty International ha anche documentato “numerose violazioni nei Cpr italiani. Il rischio che l’accesso ai diritti e il rispetto degli standard legali possano essere ancora peggiori per chi verrà detenuto nei centri in Albania è molto alto”. Il nuovo provvedimento – secondo Amnesty – potrebbe incidere negativamente anche sulle relazioni familiari e personali di persone che vivono da tempo in Italia e che potrebbero essere improvvisamente trasferite in Albania. Il decreto del governo italiano è arrivato proprio mentre la Commissione europea sta accelerando sulle proposte per rendere più rapide le espulsioni di persone prive di permesso di soggiorno verso quelli che vengono definiti “hub di ritorno”, situati in Stati con cui potrebbero non avere alcun legame. “La prassi messa in atto oggi dal governo italiano rischia di essere un pericoloso progetto pilota per una misura tanto inattuabile quanto disumana”.
Il Movimento ha espresso “varie volte preoccupazione per la violazione del diritto alla giustizia e all’accesso alle informazioni legali per le persone soccorse in mare e trasferite in Albania dalle autorità italiane: persone che affrontano notevoli difficoltà nel trovare e mantenere i contatti con avvocati al fine di presentare richieste di asilo e opporsi agli ordini di detenzione ed espulsione. Altre tutele previste dal diritto internazionale ed europeo saranno difficili da garantire in favore delle persone trasferite forzatamente dai Cpr italiani, come il mantenimento dei legami familiari con chi è rimasto in Italia e l’accesso a cure mediche d’urgenza o trattamenti essenziali”. Vi saranno inoltre “ostacoli significativi e costosi per garantire un accesso regolare alle persone detenute in Albania da parte delle autorità di monitoraggio indipendenti nazionali, degli avvocati e delle organizzazioni non governative. Il monitoraggio indipendente delle condizioni e dei trattamenti nei centri è indispensabile per garantire la tutela dei diritti“.

Nei giorni scorsi l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue Richard de la Tour è intervenuto sul protocollo Italia-Albania e sulla definizione di Paese d’origine sicuro. Secondo de la Tour, “uno Stato membro può designare paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo ma deve divulgare, a fini di controllo giurisdizionale, le fonti d’informazione su cui si fonda tale designazione. Tale Stato membro può anche, a determinate condizioni, attribuire a un paese terzo lo status di paese di origine sicuro, individuando nel contempo categorie limitate di persone che potrebbero essere ivi esposte al rischio di persecuzioni o violazioni gravi. Conformemente alla direttiva 2013/32, gli Stati membri possono accelerare l’esame delle domande di protezione internazionale e condurre la procedura alla frontiera qualora tali domande provengano da cittadini di paesi che si ritiene offrano una protezione sufficiente”.
In Italia, “la designazione di questi paesi terzi come paesi di origine sicuri avviene mediante un atto legislativo del 2024″, scrive la Corte del Lussemburgo. È in tale contesto che due cittadini del Bangladesh, trasferiti in un centro di permanenza temporanea in Albania in applicazione del protocollo Italia-Albania, hanno presentato una domanda di protezione internazionale. La loro richiesta è stata esaminata secondo la procedura accelerata alla frontiera dalle autorità italiane, che l’hanno respinta in quanto infondata, poiché il loro paese d’origine era considerato sicuro. I ricorrenti hanno impugnato la decisione di rigetto dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, che si è rivolto alla Corte di giustizia per chiarire l’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e gli obblighi degli Stati membri in materia di controllo giurisdizionale effettivo.

Il giudice del rinvio sostiene che, contrariamente al regime precedente, l’atto legislativo del 2024 non precisa le fonti di informazione sulle quali il legislatore italiano si è basato per valutare la sicurezza del paese. Per quanto riguarda la possibilità di designare un paese terzo come paese di origine sicuro mentre non lo è per talune categorie di persone, l’avvocato generale Richard de la Tour ritiene che la direttiva non osti a che uno Stato membro attribuisca ad un paese terzo lo status di paese di origine sicuro, identificando nel contempo categorie limitate di persone che possono essere esposte, in tale paese, al rischio di persecuzioni o violazioni gravi.
“Erano tutti e 40 persone oggetto di provvedimento di trattenimento in quanto, come prevede la legge, alla condizione di irregolarità amministrativa si aggiungeva una valutazione di pericolosità“. Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in conferenza stampa al termine della riunione dei ministri dell’Interno del Med5 a Napoli, sul caso dei 40 migranti trasportati sbarcati ieri in Albania con i polsi legati da fascette. “Tra i motivi per cui si predispongono queste misure di contenimento c’è quello di proteggere la sicurezza anche degli operatori di polizia, che per quanto mi riguarda rimane sempre al primo posto”, ha aggiunto Piantedosi ricordando che le persone trasportate “ci sono 5 casi di condanna per violenza sessuale, un caso di tentato omicidio, reati contro patrimonio, furti, resistenza a pubblico ufficiale”.

E ancora, “non vedo perché vi appassionino questi trasferimenti dall’Albania, che in termini chilometrici è persino più vicina ad alcuni luoghi d’imbarco di tanti altri posti di Cpr sparsi sul territorio nazionale. Non ci sono diseconomie visibili o tangibili, se non quelle concettuali, ideologiche, rispetto a quello che noi prevediamo di fare con il Cpr dell’Albania e le altre strutture che quanto prima ripartiranno”. “Questa trafila di spostamenti – conclude – succede anche nei passaggi dai Cpr e dai luoghi di imbarco per il rimpatrio per le persone che sono trattenute nei Cpr italiani, che vanno da Gradisca d’Isonzo, al confine con la Slovenia, a Palermo”.