Il processo comincerà il 7 ottobre: i fatti risalgono al 2022, quando lo storico insultò la leader Fdi parlando del conflitto russo-ucraino.
Bari – Il giudice Antonietta Guerra ha rinviato a giudizio il filologo e storico Luciano Canfora, imputato per diffamazione aggravata nei confronti della premier Giorgia Meloni. I fatti risalgono all’11 aprile 2022, quando la presidente del Consiglio era parlamentare dell’opposizione e il premier in carica era Mario Draghi. Canfora, invitato a parlare nel liceo scientifico ‘Enrico Fermi’ della città pugliese, nell’ambito di un incontro sul conflitto russo-ucraino, definì Meloni “neonazista nell’anima”, “una poveretta”, “trattata come una mentecatta pericolosissima”. Il processo comincerà il 7 ottobre dinanzi al giudice monocratico Pasquale Santoro.
È di 20mila euro la richiesta di risarcimento dei danni che la premier chiede a Canfora, contenuta nell’atto depositato in udienza dall’avvocato Luca Libra che difende Meloni, che si è costituita parte civile. La procura di Bari ha chiesto per lo storico e filologo il rinvio a giudizio. Canfora in questo caso è difeso dall’avvocato Michele Laforgia, già candidato a sindaco di Bari in corsa per le primarie del centrosinistra con il sostegno anche del M5s. La difesa di Canfora ha chiesto che il professore venga prosciolto.
Era l’11 aprile 2022 quando Canfora era stato invitato a parlare al liceo Enrico Fermi della città pugliese in un dibattito sulla guerra tra Russia e Ucraina. Parlando di Meloni, all’epoca parlamentare di Fratelli d’Italia, lo storico la definì “nazista nell’animo”. Per poi chiamarla “una poveretta… trattata come una mentecatta pericolosissima”. Si è trattato di attacchi “senza alcuna giustificazione” scrive l’avvocato Libra che assiste la premier, aggredita secondo il legale “con volgarità gratuita e inaudita, utilizzando volgari epiteti, imprevedibili ed estemporanei, che hanno seriamente minato la sfera intima e privata, oltre al patrimonio morale e personale” di Meloni.
Canfora ha detto di non essersi pentito di quelle parole, e sostiene di averlo fatto per il suo appoggio al Battaglione Azov. Aveva anticipato anche di non avere alcuna intenzione di scusarsi: “La questione, al di là del dibattito sulla questione ucraina, è oggettiva. Meloni discende dal Movimento sociale, un partito che si riferiva alla storia della Repubblica sociale, cioè a uno stato satellite del Terzo Reich”. Mentre il prefisso “neo”, aggiungeva Canfora, “serve proprio a indicare che una persona viene da un nucleo originario da cui poi si è evoluta”.
Dopo la decisione la difesa di Canfora, fa sapere che tra i motivi per i quali è stato chiesto il proscioglimento ci sarebbero anche alcune dichiarazioni rese nel 2015 dalla leader di Fratelli d’Italia “in merito alla necessità di bloccare i flussi migratori specificamente provenienti dai Paesi di fede musulmana”. La frase si legge nella memoria depositata oggi in udienza predibattimentale dall’avvocato Laforgia. In merito a quelle frasi di Meloni, l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione della Presidenza del Consiglio) trasmise alla premier una nota di ammonimento “e, nella polemica che ne scaturì, intervenne l’allora presidente del Circolo culturale Mario Mieli, Andrea Maccarrone, definendo ‘razziste’ le affermazioni dell’on. Meloni e lanciando in rete l’hashtag #MeloniRazzista”.
Querelato da Meloni, Maccarrone fu prosciolto dal gup di Roma, che ritenne le dichiarazioni rese dall’attuale premier “oggettivamente ‘discriminatorie perché indirizzate verso una classe di soggetti identificati solo ed
esclusivamente attraverso il loro credo religioso – la fede islamica'”. “È noto che l’attuale Presidente del Consiglio ha spesso denunciato il pericolo della cosiddetta sostituzione etnica nei suoi interventi pubblici”, scrive ancora Laforgia, “se non che, il concetto di ‘grande sostituzione’ è ufficialmente inserito nel catalogo dei pregiudizi antisemiti dal ‘Coordinatore Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo’, struttura afferente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri”. “Pare, dunque – si legge ancora nella stessa memoria -, che la stessa Presidenza del Consiglio finisca per avallare la legittimità della critica espressa dal prof. Canfora con l’espressione ‘neonazista nell’anima'”. “Si tratta, comunque – conclude Laforgia – , di una opinione volta a stigmatizzare il pensiero politico dell’on. Meloni, dovendosi escludere che possa qualificarsi come un’invettiva personale e gratuita riferibile alla sfera personale o privata”.
Interviene anche l’Anpi provinciale di Bari, in una nota a firma del presidente Pasquale Martino, che sottolinea: ”La solidarietà, la raccolta di firme, la mobilitazione continuano. La critica non è diffamazione, il libero pensiero non si processa”. Prima dell’udienza di oggi proprio l’Anpi ha promosso l’appello a favore del professor Canfora, firmato finora da 53 associazioni e da oltre mille cittadini. Associazioni e i 1234 cittadini ringraziati uno a uno da Anpi, che hanno sinora firmato l’appello per Canfora, e inoltre coloro che, su invito del Coordinamento Antifascista, della Casa del Popolo e di altre realtà associative, hanno partecipato al presidio di testimonianza democratica svoltosi stamattina davanti al tribunale penale di Bari”.