Le due leader scorgono lo stesso nemico in quella fetta di Pd disposta a qualunque scorciatoia pur di mantenere il potere alla faccia della volontà popolare.
Roma – E’ tornato lo spread e subito dietro ecco che fa capolino il governo tecnico. Coppia indissolubile dell’immaginario politico italiano da quando spazzò via il governo Berlusconi nell’ormai remoto 2011. E’ bastato che il differenziale tra titoli tedeschi e quelli italiani sfiorasse i 200 punti perché nel dibattito politico tornasse puntuale la suggestione, anche soltanto giornalistica, dello stormo di tecnici intento a volare in cerchio oscurando il cielo su Palazzo Chigi.
Pazienza se la narrazione a sostegno appare ormai logora (“servono interlocutori credibili per tranquillizzare gli investitori internazionali”) e nei sondaggi l’ipotesi non scaldi i cuori degli elettori, il fantasma o l’auspicio di un governo delle larghe intese si è fatto spazio in questa infinita estate italiana che sembra voler arrivare a novembre.
La discussione, per quanto oziosa – i numeri non sono paragonabili a quelli di dodici anni fa – ha fornito un assist perfetto alla destra di governo, sempre a suo agio quando le riesce di identificare un nemico, figurarsi se multiplo, i poteri forti, e la loro ignobile saldatura con pezzi dell’establishment economico italiano e peggio ancora con gruppuscoli di traditori della patria, ovviamente nascosti tra le fila della sinistra.
A spezzare lo stanco chiacchiericcio ha provato Giorgia Meloni, assicurando che dopo di lei si tornerà al voto, nonostante a sinistra abbiano già pronta la lista dei ministri per un eventuale governissimo. L’affondo della premier può apparire banale ma colpisce il bersaglio. E involontariamente fa un favore a Elly Schlein. Che infatti, seppur un po’ oscurata dalle urla e strepiti di queste settimane, ha dichiarato a sua volta che “il Partito Democratico tornerà al governo soltanto quando vincerà le elezioni” spiegando di aver detto “no” alle larghe intese già nel 2013.
Per quanto lontanissime politicamente Meloni e Schlein questa volta hanno messo nel mirino lo stesso nemico, quel correntone Pd dove sono intruppati i “governisti”, gattopardi animati dalla tetragona convinzione che il loro partito sia l’unico titolato a conservare e a consolidare l’assetto di potere e ad offrire le necessarie garanzie democratiche agli organismi sovranazionali. Il tutto, come ovvio, a prescindere dal responso elettorale e dalla volontà dei cittadini.
Certezza granitica che se da una parte mina il concetto stesso di competizione democratica, dall’altra, sul versante interno, affossa qualunque tentativo di offrire un’identità forte al Partito Democratico, la cui vaghezza programmatica lo rende al tempo stesso concavo e convesso, capace di sostenere qualunque tecnico si presenti in Parlamento per il voto di fiducia senza nemmeno doversi turare il naso.