Nel febbraio del 1995 l’allora sedicenne ragazza cagliaritana fu ritrovata cadavere in un dirupo. Le inchieste non approdarono a nulla. I fratelli reclamano giustizia, ma la Procura ha negato nuove indagini.
Cagliari – Resterà un cold case chissà per quanto tempo ancora quello di Manuela Murgia, l’allora sedicenne ragazza cagliaritana scomparsa da casa il 4 febbraio del 1995 e ritrovata cadavere il giorno dopo nel Canyon di Tuvixeddu. I familiari non hanno mai creduto alla tesi del suicidio, per parte sua la macchina della giustizia in tutti questi anni non è stata in grado di accertare la verità. E adesso ha deciso di gettare la spugna, rigettando l’istanza per la riapertura del caso presentata dalla famiglia, assistita dallo studio legale di Bachisio Mele e dell’avvocata Giulia Lai.
Sui social i fratelli della giovane hanno puntato il dito contro la Procura: “Manuela è stata uccisa una seconda volta“. Da sempre sostengono la tesi dell’omicidio. Dalla fine dell’anno scorso sono venuti in possesso di tutte le carte delle indagini e da allora hanno intrapreso una battaglia in cerca della verità, ritenendo che vi siano molti punti oscuri mai chiariti. Un serie di indagini difensive hanno fatto emergere ulteriori elementi di novità che i familiari chiedevano fossero valutati sulla base delle nuove tecniche investigative. Ma la Procura ha detto stop.
Eppure tante cose continuano a non tornare nel succedersi degli eventi che portarono alla morte di Manuela e sulle inchieste che indagarono sulla sua fine prematura. L’allora sedicenne esce dalla casa dove vive con i genitori e i tre fratelli, nel quartiere Is Mirrionis, il 4 febbraio del 1995. E’ da poco passato mezzogiorno, sul tavolo Manuela lascia un rossetto e un profumo. Non farà più ritorno. Il giorno dopo una telefonata anonima avverte la polizia locale che “c’è una ragazza senza vita nella gola di Tuvixeddu”. E’ proprio Manuela. Il suo corpo giace ai piedi di una rupe alta trenta metri.
Un posto che, fanno notare da subito i familiari “Manuela non conosceva, che non poteva assolutamente essere conosciuto da una ragazza”. Ma è soltanto la prima di una serie di anomalie che rendono la morte di Manuela un giallo. A partire dalla suola delle scarpe pulite, circostanza che accredita la possibilità di una morte violenta in un altro luogo e solo in seguito la deposizione del cadavere nel dirupo per inscenare il suicidio. Ci sono i segni di violenza sul corpo e, in particolare, quelli sul collo, i tagli rinvenuti sulla schiena, nonostante i suoi vestiti siano stati ritrovati intatti. Pare ci fossero anche segni di una colluttazione precedente. “Questo è evidente perché tutti i segni, i tagli e gli ematomi, causati da un corpo contundente, sono sulla parte posteriore – fanno sapere i parenti – ma Manuela è stata trovata prona e senza danni in zona facciale”.
Altra falla nelle indagini: non si sa se la giovane abbia subito o meno violenza sessuale prima del decesso. Inoltre, nello stomaco della 16enne sarebbero state trovate tracce di semolino, che però non mangiò a casa prima della scomparsa. Manuela mangiò la minestra tra le 14:30 e le 15 mentre l’ora della morte è stata collocata tra le 18 e le 20. La testimonianza della madrina di una delle sorelle di Manuela, Elisa è uno degli elementi cardine su cui si basa la convinzione dei familiari che la giovane si a stata uccisa. La donna avrebbe visto Manuela il giorno della scomparsa in un’auto blu metallizzata con un uomo. Manuela aveva un fidanzato, di 8 anni più grande di lei, ma lui dichiarò che non si vedevano da 10 giorni perché avevano deciso di interrompere la loro relazione.
Le indagini non riuscirono “ad accertare le circostanze e le cause della morte della Murgia”, scrivevano i magistrati nel fascicolo a 3 anni dai fatti, lasciando aperte diverse ipotesi: “evento accidentale, dolo di terzi o addirittura investimento stradale colposo con successivo occultamento del cadavere“. Nel 2012 il caso venne riaperto per alcuni mesi e poi richiuso dai magistrati che non valutarono sostanziali novità.
Adesso la giustizia vorrebbe seppellirlo per sempre. Ma i familiari non demordono, vogliono la verità, sono intenzionati ad andare avanti, pretendono che siano sentite le tante persone ignorate dalle inchieste precedenti, di sapere perché gli abiti di Manuela erano intonsi dopo un ipotetico volo di trenta metri. E intanto accusano: “Chi dovrebbe garantirle giustizia da quasi ventinove anni ha deciso di rigettare l’istanza di riapertura, nonostante le prove fornite. Perché tutto ciò? Cosa si vuole coprire? Gli errori di 29 anni fa? Oppure cosa più terrificante, si vuole coprire qualcuno. E se così fosse, chi si vuole coprire? Manu, noi non smetteremo mai di lottare per te, meriti giustizia e pace”.