Malessere psicologico a lavoro: il 25% detesta quello che fa, 22mila scontenti

Una ricerca condotta da “Gallup”, rivela che bel il 62% degli intervistati non si sente affatto coinvolto nel processo produttivo.

Roma – Il 25% dei lavoratori detesta il lavoro che svolge. Si fa di tutto per avere un lavoro, perché senza è impossibile vivere, eppure una volta raggiunto l’obiettivo, spesso le persone se ne lamentano, fino ad odiarlo. Sono più di quanto si possa immaginare. Molte ricerche hanno evidenziato come sia diffuso il malessere psicologico nell’ambiente lavorativo. Sono 22 mila le persone che hanno bisogno di un sostegno psicologico professionale, perché la propria salute mentale inizia a vacillare a causa dello stress causato dal complicato rapporto coi colleghi o coi propri capi e dall’insoddisfazione generale delle condizioni lavorative. Che grande “sfiga” per quei poveri cristi che, oltre a fare una levataccia, alzandosi all’alba per recarsi al lavoro, devono pure incontrare colleghi o capi che stanno loro sul “gozzo”!

Il 25% dei lavoratori detesta il lavoro che svolge. (Credit: Depositphoto)

Una ricerca condotta da “Gallup”, lo storico e prestigioso Istituto di sondaggi e analisi dell’opinione pubblica statunitense, che svolge da anni indagini riguardanti la relazione del rapporto dipendenti/manager, a livello globale ha evidenziato che sono il 23% del campione a ritenersi soddisfatti del proprio lavoro. Il 62% non si sente coinvolto nel processo produttivo, né ispirato e si limita a svolgere il “compitino”. Quest’ultimi, inoltre hanno una pessima considerazione del management. Questa situazione ha allarmato i vertici aziendali, non per una visione solidaristica dei rapporti di lavoro, ma per il fatto che questa moltitudine di scontenti, pare che producesse circa 8,9 trilioni di dollari di mancate entrate a livello mondiale. Corbezzoli, si tratta di tanto denaro, mica di noccioline!

E’ da evidenziare, inoltre, la “miopia” dell’organizzazione del lavoro che non è riuscita a cogliere il nesso tra produttività e qualità del lavoro, eppure le aziende quando sentono il tintinnio del denaro, drizzano le antenne, perché come recita un vecchio motto popolare “i soldi fanno venire la vista ai ciechi”! Sembra la scoperta dell’“acqua calda”: un lavoratore contento del proprio lavoro rende di più all’azienda. Ed infatti, quelli più coinvolti nel processo produttivo hanno affermato di avere un buon rapporto coi loro capi e risultano più soddisfatti di quest’aspetto che di ricevere retribuzioni più alte. Secondi i dati, il management che meglio gestisce l’azienda, riesce a trattenere i dipendenti più talentuosi, oltre che ad avere buoni processi di marketing, producendo il 23% di profitti in più. Nonostante questi numeri, in alcune realtà pare che prevalga una concezione distorta e malevola del potere che mira più a creare problemi ai sottoposti che al bene dell’azienda.

(Credit: Depositphoto)

Oggetto dello studio sono stati 90 Paesi mondiali, tra cui anche l’Italia. Nel Belpaese, la quota degli insoddisfatti del lavoro, da cui scaturiscono rabbia e disinteresse, raggiunge il 25%. Mentre è del 15% la quota di coloro che sostengono che questi condizioni ostacolino il raggiungimento degli obiettivi aziendali. C’è da dire che il nostro è un mercato del lavoro rigido, al punto che la volontà di cambiare impiego viene dichiarata molto poco rispetto alla media europea, proprio per la sua staticità. Non ci lascia un lavoro che non piace per il timore di restarne senza. Lo scorso mese di febbraio si è svolta l’edizione italiana dell’  “Annual Global CEO Survey”, il consueto convegno annuale degli amministratori delegati. Il management ha dichiarato l’impossibilità di restare sul mercato per le aziende se la situazione rimane la stessa. D’altronde, cosa si aspettava di ottenere, visto che quasi la metà del campione dei lavoratori è insoddisfatto della propria dirigenza? Se non si desidera perire, è urgente una netta inversione di rotta. Ma per farlo, sono necessari validi timonieri. Purtroppo non se ne scorge alcuno, nemmeno in lontananza! 

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