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Mafia dei pascoli ad Agrigento: arrestato il referente di Messina Denaro

Pietro Campo, 72 anni, già detenuto, secondo l’accusa era uno dei pochissimi nell’Agrigentino ad avere il compito di interpretare i pizzini del boss.

Agrigento – La Polizia di Stato, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha eseguito una misura cautelare nei confronti di cinque persone – due delle quali già condannate in via definitiva per associazione mafiosa – accusate di una serie di condotte reiterate di estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza, aggravati dal metodo mafioso e di aver agevolato Cosa nostra. In base alle indagini, condotte dallo SCO, dalla SISCO di Palermo e dalle Squadre Mobili di Agrigento e Palermo è stato ipotizzato il “pervasivo controllo e la gestione illecita delle attività agro-pastorali” sul territorio girgentano di Santa Margherita del Belice, Montevago e Sambuca di Sicilia fino al confine con Contessa Entellina (PA).

Tra i cinque finiti in manette c’è anche il referente di Matteo Messina Denaro nella provincia di Agrigento, Pietro Campo, boss della famiglia di Santa Margherita di Belice, già in carcere con una condanna definitiva a 14 anni. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori dello Sco e dello Scico, Campo era uno dei pochissimi nella provincia di Agrigento ad avere il compito di interpretare i pizzini di Messina Denaro. Inoltre, a confermare il forte legame tra il numero uno di Cosa Nostra e Campo, ci sarebbe anche un video: è quello registrato dalle telecamere nascoste il 7 dicembre del 2009 in cui si vede un fuoristrada con a bordo due persone – una delle quali secondo gli investigatori è proprio Messina Denaro – transitare in una zona di campagna. Quel terreno fa parte dell’azienda agricola di Pietro Campo in contrada Gulfa, tra Santa Margherita di Belice e Torre Pandolfina.

A indicare Campo come referente di Messina Denaro, oltre agli elementi acquisiti con le indagini, sono anche due pentiti, Antonino Giuffré e Maurizio Di Gati, con quest’ultimo che ha riferito del ruolo di Campo come interprete dei pizzini del boss di Castelvetrano. Al settantaduenne Pietro Campo la misura è stata notificata direttamente in carcere. Le altre quattro misure sono state invece eseguite durante la notte e gli indagati condotti in carcere. Si tratta di Giovanni Campo di 33 anni, Piero Guzzardo di 45 anni (che è stato prima portato in Questura ad Agrigento) e Pasquale Ciaccio di 58 anni. Ai domiciliari invece è stato posto Domenico Bavetta di 42 anni.

Secondo le indagini gli indagati, avvalendosi della indiscussa forza intimidatoria derivante dall’essere riconosciuti quali esponenti di vertice del mandamento mafioso di Santa Margherita di Belice, avrebbero attuato un incisivo controllo sull’economica agro-pastorale dell’area e sull’utilizzo dei fondi agricoli dell’entroterra belicino. Sono stati registrati diversi episodi in cui gli indagati, avvalendosi del metodo mafioso, avrebbero costretto i proprietari e i gestori dei terreni agricoli a cedere la disponibilità di ampie aree di terreno da adibire al pascolo abusivo del bestiame, imponendo il pagamento di canoni irrisori che, in alcuni casi, non sarebbero stati nemmeno corrisposti.


Il controllo dei terreni agricoli si sarebbe tradotto, in alcuni casi, anche in un divieto di esercitare attività agricole collaterali che alterassero il libero pascolo delle greggi, così imponendo di fatto uno stringente predominio su beni immobili altrui, anche funzionale alla massimizzazione dei profitti derivanti dalla produzione lattiero-casearia. “In tale ambito – spiegano gli investigatori -, è stata talvolta registrata anche l’assenza di minacce esplicite, potendo gli indagati imporre la propria volontà facendo ricorso ad atteggiamenti intimidatori silenti, ai quali ha fatto eco la capacità di assoggettamento derivante dal loro riconosciuto ruolo criminale nonché i molteplici episodi di danneggiamento (incendio, taglio delle colture e furti di bestiame) – consumati da ignoti – subiti negli anni proprio dai proprietari che avevano deciso, invece, di adibire i terreni a coltivazioni che avrebbero limitato il pascolo delle greggi”.

Le indagini si sono avvalse anche delle dichiarazioni di alcune vittime che si sono opposte al “sistema di controllo” del settore, facendo emergere anche alcuni episodi in cui, all’esito della trebbiatura operata dai proprietari, le derrate sarebbero state indebitamente acquisite e imballate dagli indagati, senza versare alcun corrispettivo. Lo spessore dei soggetti coinvolti nelle investigazioni ha peraltro evidenziato anche momenti di tensione interna legati al tentativo di alterare gli equilibri del “cartello” stesso; contrasti sempre appianati in una logica di convenienza e di reciproca tutela dei meccanismi di controllo del territorio.

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