Dopo la latitanza vive da uomo libero allo stato brado accudendo la sua mandria di vacche. Dietro le sue spalle, finalmente, la libertà.
LONGOBUCCO – Il pittoresco paese calabrese nell’alta Sila ha dato i natali a numerosi briganti e brigantesse degni di nota. Il primo in assoluto era stato Antonio Santoro, detto Re Coremme, nato a Longobucco agli inizi dell’800, un uomo coraggioso che per sfuggire alla cattura si rifugiava in Sicilia. Nel 1807 con la sua banda partecipò alla difesa di Amantea occupata dai Francesi di cui fece strage. Nel maggio dello stesso anno Santoro diventò il padrone di Crotone ma in quella città veniva arrestato e trasferito in Sicilia dove scomparve senza dare notizie.
Un altro famoso capobanda era stato Domenico Strafaci, detto Palma, nato a Longobucco nel 1829. Si diede alla latitanza nel 1860 dopo una lite con un nobile di Rossano calabro che lo aveva denunciato. Santoro era un brigante che rubava ai ricchi per donare ai poveri e ben presto diventò un mito per le povere popolazioni locali. Il 12 luglio del 1869, grazie al tradimento di un amico, venne ucciso a Spezzano Grande e di lui non rimane che il ricordo delle sue gesta in favore dei più deboli. Della storia del brigantaggio, oggi, rimane poco o nulla.
Per lo meno di quel banditismo che, in un certo senso, fu anche utile per i governi dell’epoca che lo utilizzarono alla bisogna per poi abbandonare i suoi rappresentanti ad un triste destino. Ma a Longobucco o, meglio, nelle montagne che lo circondano vive l’ultimo dei briganti. Un uomo avvezzo alla vita dura e alla pastorizia che trascorre la propria esistenza in solitudine volontaria per tutta una serie di esperienze negative che l’hanno costretto a ritirarsi in una sorta di eremitaggio. Di lui ha parlato in un bel documentario il collega Saverio Caracciolo descrivendo lo scorrere delle giornate di Ottavio Forciniti, 61 anni, l’ultimo brigante “buono” della Calabria. Ottavio bada a 40 vacche di razza pregiata che rappresentano tutto il suo patrimonio e a cui è legatissimo. La sua lunga giornata di lavoro inizia all’alba e finisce al tramonto, sia d’estate che d’inverno. Non esiste neve o caldo asfissiante che possa fermarlo e delle montagne che circondano Longobucco conosce qualsiasi anfratto riuscendo a vedere ciò che gli altri ignorano:
”…Sono i dispiaceri che invecchiano non il lavoro – racconta Ottavio – ero l’ultimo di otto fratelli, da qui il mio nome, e ad appena 5 anni rimasi orfano e cosi cominciò il mio calvario. Ero piccolo ma dovevo fare il lavoro dei grandi, dovevo fare quello che mi dicevano di fare, forse è per questo che il mio carattere divenne rissoso. Così mi misi nei guai. Oggi, non rifarei nulla di ciò che ho fatto allora…”.
Pare che durante una rissa fuori da un bar Ottavio impugnasse un coltello. Da qui all’accusa di tentato omicidio il passo era stato davvero breve. L’uomo pur di non finire in galera aveva scelto la latitanza che per anni lo aveva costretto a sfuggire ai carabinieri che gli davano perennemente la caccia. Per non farsi ammanettare l’uomo si nascondeva nei boschi cibandosi di ghiande e frutta rubando il pane dove poteva. Dopo anni di tormenti ed estenuanti fughe notturne senza mai poter riposare in un letto, Ottavio Forciniti diventò nuovamente un uomo libero, forse per un provvedimento di prescrizione:
”… Bado alle mie bestie e dormo nei capanni di arbusti e foglie – aggiunge Ottavio – di tanto in tanto mi preparo una sigaretta con le cartine e poi riprendo la marcia… Ricordo quando un parente anziché farmi entrare in casa mi scacciò dicendomi che cosa sei venuto a fare qui!.. Da allora ho fatto a meno di tutti e me la cavo da solo… Non volevo che si riferissero a me chiamandomi latitante così scelsi di farmi chiamare brigante. Ecco, io sono l’ultimo dei briganti…”.
La sua mandria di vacche podoliche ha bisogno di poche cure, proprio come il padrone. Mentre le stagioni si susseguono l’uomo dalla barba bianca si guarda sempre alle spalle. Libertà non più carabinieri.