Lapidato per aver “fermato” il Frecciarossa nel tentativo, riuscito, di non far mancare lo Stato a Caivano, terra martoriata dalla camorra.
Roma – Difendere il ministro Francesco Lollobrigida, che per carità è capace da solo, è impresa ardua, se non altro perché l’uomo sta alla cognata Meloni come il principe Filippo stava alla regina Elisabetta, entrambi produttori seriali di gaffe da bollino rosso.
Da quando è ministro dell’Agricoltura, intanto ha “gaffizzato” il nome del dicastero con l’aggiunta di “sovranità alimentare”, locuzione vacua che però profuma di autarchia e di Ventennio; poi ha proseguito con la “sostituzione etnica” provocata dagli immigrati, infine si è dedicato ai poveri che, a suo dire, mangerebbero meglio dei ricchi. L’altro ieri, secondo quanto riferito da “Il Fatto quotidiano” – ricostruzione che non è stata smentita dall’interessato – e soprattutto rilanciato da un’opposizione scatenata spintasi fino a reclamarne le dimissioni, il povero Lollobrigida ne avrebbe combinata un’altra delle sue.
I fatti: atteso a Caivano, comune del Napoletano assurto ai disonori delle cronache per il controllo ferreo lì imposto dai clan della camorra, dove il ministro è chiamato a inaugurare il nuovo parco cittadino, simbolo di riscatto e di recuperata legalità, Lollobrigida sale a Roma su un Frecciarossa finito nella tempesta perfetta che, tra guasti e disguidi, ha paralizzato la circolazione ferroviaria italiana l’altro ieri. Il ritardo accumulato è di oltre cento minuti, arrivare a Caivano impossibile. Che fare? Lollobrigida chiede e ottiene di scendere a Ciampino, fermata non prevista, per proseguire con l’auto blu verso la sua destinazione.
Apriti cielo! Un’opposizione insolitamente unita, s’è accodato anche Renzi – campo larghissimo dunque, quello che non vedremo mai alle elezioni – ha sottoposto ieri Lollobrigida ad un feroce linciaggio politico a colpi di “arroganza della casta”, “comportamento indegno”, “dimissioni” e minacce di interrogazioni parlamentari. Un’ordalia di accuse che avrebbe avuto un senso se il ministro avesse preteso uno stop non previsto per attendere a qualche suo affare privato, come il presenziare al matrimonio di un amico o guardarsi la partita dalla tribuna vip dell’Olimpico.
Allora sì che ci saremmo trovati di fronte al più classico e odioso degli abusi di potere. Non l’altro ieri. Lollobrigida ha forzato la mano per evitare che i bambini di Caivano, in ordinata attesa sotto l’acqua, e con loro le istituzioni, si trovassero una volta ancora al cospetto di uno Stato latitante, come troppe volte è accaduto in questi ultimi decenni. E che qualche capobastone camorrista locale potesse dedurre con soddisfazione che l’intransigenza delle istituzioni romane si fosse già squagliata come neve al sole. L’assenza di Lollobrigida, quella sì che sarebbe stata un’imperdonabile gaffe istituzionale.