Loggia Ungheria, confermata la condanna per Davigo

La Corte d’Appello di Brescia ribadisce la responsabilità dell’ex magistrato per la diffusione di verbali riservati. La difesa annuncia battaglia.

Brescia – Piercamillo Davigo, volto storico di Mani Pulite ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura, dovrà affrontare un nuovo ricorso alla Suprema Corte. La Corte d’appello di Brescia ha infatti confermato la condanna a un anno e tre mesi di reclusione pronunciata in primo grado, chiudendo così il secondo round giudiziario sulla controversa vicenda legata ai verbali dell’avvocato Piero Amara.

Il procedimento bresciano rappresenta l’epilogo di un percorso giudiziario tortuoso. Dopo la prima condanna, la Cassazione aveva parzialmente accolto le ragioni della difesa annullando con rinvio la sentenza limitatamente all’accusa di aver rivelato informazioni riservate a persone estranee alle indagini. I giudici di legittimità avevano chiesto una nuova valutazione proprio su questo specifico capo d’imputazione, che ora trova conferma nell’aula bresciana.

Al centro della vicenda ci sono i famosi verbali relativi alla presunta “loggia Ungheria”, dichiarazioni rese da Amara che hanno scosso gli ambienti giudiziari e politici italiani. Secondo l’accusa, Davigo avrebbe diffuso contenuti coperti da segreto investigativo oltrepassando i confini della legittima condivisione tra magistrati, compromettendo così la riservatezza delle indagini in corso.

La difesa dell’ex magistrato mantiene una linea di ferma contestazione. L’avvocato Davide Steccanella ha già annunciato l’intenzione di impugnare la decisione davanti alla Cassazione, rivendicando la correttezza dell’operato del suo assistito. Secondo la tesi difensiva, Davigo avrebbe agito esclusivamente nell’interesse della giustizia e della legalità, sollecitato peraltro dal pubblico ministero Paolo Storari – poi assolto – senza provocare alcun pregiudizio concreto alle investigazioni.

La sentenza segna un momento delicato per una figura che ha rappresentato per decenni il rigore della magistratura italiana. L’ultimo capitolo giudiziario si scriverà ora nei palazzi della Suprema Corte.