L’Italia alla mercé degli hacker: le rivelazioni shock di Gratteri sulla cybersicurezza nazionale

Il procuratore di Napoli denuncia un sistema informatico “bucato” e l’umiliazione subita dai partner europei: “Non ci vogliono perché non portiamo aiuto”.

Napoli – Le parole del procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, ospite nel salotto televisivo di Lilli Gruber, hanno il sapore di un campanello d’allarme che risuona forte e chiaro. Non sono dichiarazioni diplomatiche o rassicurazioni istituzionali, ma una denuncia nuda e cruda sullo stato disastroso della cybersicurezza italiana.

Un sistema “bucato” come un colabrodo

“Il sistema informatico italiano è come gli acquedotti: il 45% delle informazioni preziose si perde”, ha dichiarato Gratteri con la sua consueta schiettezza. Una metafora che fotografa impietosamente la realtà: l’Italia digitale perde dati sensibili come l’acqua da tubature obsolete.

Il magistrato ha rivelato episodi che farebbero rabbrividire qualsiasi esperto di sicurezza informatica. “Abbiamo avuto il dominio del Ministero della Giustizia per mesi nelle mani di un hacker”, ha confessato, aggiungendo che “nel dark web c’erano 30 milioni di numeri di telefono e gli indirizzi di una società di telefonia italiana”.

La diffidenza dei partner europei

Forse ancora più imbarazzante è l’aneddoto relativo al G7 in Puglia. Durante una riunione con francesi e olandesi, i partner europei hanno espresso una posizione inequivocabile: “Non vogliamo gli italiani perché non portano nessun aiuto”. Una bocciatura umiliante che racconta di un’Italia considerata un anello debole nella catena della sicurezza informatica europea.

La diffidenza dei partner europei

Mentre l’Italia arranca con sistemi obsoleti, “all’estero usano tecnologia militare”, ha sottolineato Gratteri. Il risultato? I nostri partner europei oggi possono vantarsi di avere “20.000 file audio” italiani e di essere “in grado di bucare le vostre reti”.

La ricetta per il rilancio

Gratteri non si limita alla denuncia ma indica anche la strada per uscire dal tunnel. “Bisogna rifare il cablaggio, comprare tutti i computer nuovi. Ci vogliono soldi ma ci vogliono pure le competenze”, ha affermato il procuratore, che ha anche rivelato di non fidarsi dei sistemi tecnologici del Ministero della Giustizia al punto da non utilizzare “nessuna app” sul proprio telefono.

Un problema di sovranità digitale

Le rivelazioni di Gratteri non sono solo una questione tecnica ma toccano il cuore della sovranità digitale del Paese. Quando un magistrato di primo piano è costretto a rinunciare agli strumenti tecnologici del proprio ministero per tutelare la propria sicurezza, significa che il problema ha raggiunto dimensioni sistemiche.

L’Italia si trova di fronte a un bivio: continuare a navigare in acque digitali insicure, rischiando di compromettere non solo la propria credibilità internazionale ma anche la sicurezza nazionale, oppure investire massicciamente in infrastrutture e competenze per colmare un gap che appare sempre più incolmabile.

Le dichiarazioni del procuratore Gratteri rappresentano uno squarcio di verità in un panorama spesso caratterizzato da rassicurazioni di facciata. La cybersicurezza del Bel Paese non è solo inadeguata, è pericolosamente compromessa.

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