L’inferno sulla tela, l’inferno sulla Terra: la profezia di Bosch e il grido amaro di Total

Quando la violenza sistemica della finanza genera regressione e il caos dipinto diventa realtà.

Il mio lavoro di avvocata attivista mi costringe ogni giorno a guardare in faccia l’abisso. Non l’abisso del male puro, ma quello dell’ingiustizia economica, mascherata da legalità: una serie di atti apparentemente leciti con cui le banche e le società di speculazione finanziaria internazionale saccheggiano i patrimoni privati e prosciugano lo Stato (dal cinismo dei titoli tossici alla truffa algida del credito d’imposta multi-riscosso).

“Giudizio Universale” di Hieronymus Bosch

Chi combatte in questo fango conosce la rabbia, il senso di ineluttabilità e lo scoramento. Ed è in questi momenti che la realtà può apparire come un’allucinazione, un incubo. È il sentimento che mi ha portato a scegliere per questa riflessione l’immagine più potente dell’orrore irrazionale: il frammento del “Giudizio Universale” di Hieronymus Bosch (o opera della sua cerchia), una tela che descrive l’Inferno in Terra.

La visione del caos e la morte insensata

Quella tela, con le sue figure contorte che vengono divorate, impiccate a strutture fatiscenti, o tormentate da creature ibride – simboli del male, del caos e della punizione – è la perfetta metafora visiva della regressione mentale che precede la tragedia.

Una tragedia come quella che ha causato la morte di tre carabinieri.

L’atto di far esplodere dolosamente un edificio fatiscente, pur nascendo da una disperazione – ancora tutta da verificare – causata dall’esproprio, si è tradotto nell’atto più stupido, riprovevole e vigliacco che potesse essere concepito.

Forziamo, con dolore, la comparazione: mentre le crude immagini della strage facevano il giro del web, le scene di fumo, macerie e corpi inerti hanno evocato, nella mente, la stessa confusione mostruosa e la stessa irrazionalità punitiva dipinta da Bosch. Lì, i corpi erano tormentati da creature infernali; qui, tre servitori dello Stato sono stati travolti da un crollo vigliacco. In entrambi i casi, l’esito è la disumanità e la perdita totale di senso.

Dobbiamo guardare dentro quel percorso-ragionamento – se tale termine si può applicare a un delirio operativo. Il caos dipinto da Bosch, in questo contesto, diventa l’incubo che alitava nelle menti disgraziate dei tre fratelli: un universo interiore di terrore per il futuro e follia disperata, dove l’unica via d’uscita concepita è stata la distruzione totale, senza distinguere tra colpevoli e innocenti esecutori di un ordine.

La faticosa resistenza: le costruzioni infernali della Finanza

La disperazione che porta all’atto eversivo non è un lampo, ma il risultato di un logoramento. Ed è qui che la metafora dell’Inferno di Bosch si fa più pertinente, meno drammatica ma più severa, come descrizione del campo di battaglia dell’attivista.

La lotta contro il sistema finanziario è un assedio psicologico che ricorda le architetture impossibili e soffocanti dei quadri fiamminghi. Le “costruzioni infernali delle banche” non sono fatte di fuoco e zolfo, ma di burocrazia inestricabile, procedure infinite, e un labirinto di clausole legali concepite non per offrire una via d’uscita, ma per intrappolare il debitore in un ciclo di umiliazione e perdita.

Resistere significa combattere non un nemico di carne, ma un sistema progettato per la stanchezza. Ogni ricorso respinto, ogni udienza rinviata, ogni atto di pignoramento recapitato non sono semplici sconfitte legali, ma torture psicologiche metodiche che erodono la fiducia nella giustizia e, peggio ancora, la fede nella propria capacità di restare interi. Si vive come i dannati di Bosch, oppressi da un peso schiacciante, intrappolati in macchinari legali che sembrano destinati a schiacciarci. La sensazione di soffocamento data da questa battaglia è palpabile: è l’essere avvolti in una tela di ragno finanziaria, in cui ogni movimento per liberarsi non fa che stringere il nodo.

La fatica di continuare a lottare è quindi, in primo luogo, una fatica etica. È l’obbligo costante di controbattere alle costruzioni infernali non con il panico, ma con la disciplina della ragione; non con la vendetta, ma con la severità del diritto. È l’unico modo per non lasciare che l’inferno del cinismo finanziario diventi anche l’inferno della nostra moralità.

Il tradimento della causa e l’imperativo etico

Questo gesto idiota non solo è un crimine efferato, ma è un tradimento della causa stessa. Se è vero che gli stragismi sono figli di una ingiustizia sociale diffusa e di una sordità sistemica, è un imperativo etico chiarire che non sono mai giustificabili.

L’atto eversivo avvelena la nobiltà della nostra causa. La nostra giusta battaglia contro la violenza economica rischia di essere liquidata come la “battaglia di disgraziati” pericolosi, delegittimata in nome della memoria dei militi caduti. L’azione violenta dà al sistema un alibi per ignorare le grida di dolore.

Dalla bestia finanziaria alla regressione umana

Ma il punto più amaro di questa riflessione è il prezzo finale che si paga: la regressione. Quando le banche e la speculazione finanziaria annientano famiglie, espropriano vite e patrimoni in nome del danaro, non fanno altro che ridurre l’uomo a una cifra, una merce. E in questa prostrazione mentale, la vittima della violenza economica regredisce a sua volta.

È il passaggio dalla nevrosi del denaro descritta da Elio Petri, alla barbarie pura.

L’unica strada onorevole è la lotta legale, non la barbarie. Eppure, dopo anni passati a difendere la dignità dell’uomo contro il cinismo del capitale, non si può non pensare amaramente alle parole del Ragionier Total nel film La proprietà non è più un furto:

“Io, ragionier Total, non sono diverso da voi, né voi siete diversi da me; siamo uguali nei bisogni, diseguali nel loro soddisfacimento. E nella lotta legale o illegale per ottenere ciò che non abbiamo molti si ammalano di mali vergognosi… Tanti altri cadono, muoiono. Così nasce l’invidia. E in questa invidia si nasconde l’odio di classe, che è composto in egoismo e quindi reso innocuo. L’egoismo è il sentimento fondamentale della religione della proprietà… La proprietà più che un furto è una malattia. Io vorrei essere e avere, ma so che è impossibile. È questa la malattia“.

Flavio Bucci nel ruolo del Ragionier Total

È proprio in questa malattia, in questo egoismo fondamentale della “religione della proprietà”, che le vittime della violenza economica vengono ridotte a bestie, proprio come le bestie che le hanno ridotte in quella prostrazione mentale.

L’Inferno di Bosch e il monologo di Total sono i due estremi di un’unica, dolorosa verità: quando il danaro e la proprietà annientano i valori, la regressione è inevitabile. Il nostro compito è difendere l’umanità, prima che la giustizia ci venga rubata e noi si venga ridotti al caos dipinto.