In manette i quattro aguzzini che avevano fatto lievitare il debito iniziale di 147mila euro fino a un milione. Più volte minacciato, l’uomo si era tolto la vita il primo marzo 2023 a Guidonia Montecelio.
Roma – L’ultimo pensiero di M.M., imprenditore romano di 54 anni del settore ittico, prima di togliersi la vita, è stato per il figlio ventenne. Schiacciato dai debiti e dalle pressioni di una banda di falsi amici e violenti, aveva chiesto a uno di loro di assicurarsi che il figlio potesse continuare gli studi dopo la sua morte. La disperata richiesta della vittima è emersa da un’intercettazione telefonica dei carabinieri, in cui uno degli stessi aguzzini, Samuele Melara, raccontava a un conoscente il disperato appello di M.M., giurando di avergli dato rassicurazioni: “Te lo posso giurare… gli ho detto di sì”.
Samuele Melara, 36 anni, originario di Palmi (RC), era un socio occulto nel settore food and beverage della società “Vantea Spa”, per la quale M.M. aveva lavorato come rappresentante di prodotti ittici fino a pochi giorni prima di Natale 2022, quando fu licenziato per un ammanco di 147mila euro. Oltre a Melara, sono stati arrestati anche Francesco Vincenzo Maria Primerano, 67 anni, Francesco Protani, 44, e Simone Veglioni, 56, il titolare di fatto della Vantea. I carabinieri del comando provinciale di Roma hanno notificato ai quattro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip su richiesta della Dda, accusandoli di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di morte come conseguenza di altro reato.
Il 1° marzo 2023, M.M. si è tolto la vita a Guidonia Montecelio, dopo aver subito ripetute minacce e vessazioni, come descritto in una denuncia presentata ai carabinieri il 7 febbraio dello stesso anno. L’imprenditore aveva spiegato come gli indagati cercassero di estorcergli 600mila euro, nonostante il suo debito fosse di soli 147mila euro, trattenuti per far fronte a problemi finanziari della Craby srl, una società che aveva fondato nel 2021.
Il 22 dicembre 2022, Veglioni aveva detto chiaramente a M.M. che il suo problema era ora passato ai “calabresi”, che gli avevano comprato il credito. Da quel momento, la pressione aumentò. Melara, in una telefonata, aveva reagito furiosamente alla richiesta di M.M. di una proroga, facendogli capire che aveva a che fare con usurai, non con una banca. Nel corso della denuncia, M.M. aveva anche riferito che Melara aveva menzionato la cosca Morabito della ‘ndrangheta, facendo lievitare il debito a 600mila euro, poi a un milione.
Il 28 dicembre, M.M. si era recato in un magazzino di Melara a Ponte Galeria, sperando in un’intermediazione da parte di Primerano, ma venne invece costretto a cedere la sua società, Craby, sotto minaccia di violenza fisica. Lo avevano minacciato con un’accetta e una pistola, spingendolo a firmare un documento di cessione. Nei giorni successivi, M.M. aveva cercato disperatamente di salvare ciò che restava della sua vita e della sua attività, ma le vessazioni continuarono senza tregua.
Il gip ha descritto il “congiunto accerchiamento” cui M.M. era sottoposto, evidenziando come anche Veglioni fosse a conoscenza di ogni sviluppo. L’ex moglie dell’imprenditore ha dichiarato agli inquirenti che, se non fosse stato per le pressioni e le minacce subite, M.M. non avrebbe compiuto il gesto estremo di togliersi la vita.