L’identikit del killer con gli occhiali alla Cavour. Testimonianze a confronto

L’identikit dell’assassino di Cristiano Aprile era stato inviato al commissariato PS di zona e ai vari esercenti del quartiere, in particolare farmacie e bar.

Roma – Com’è possibile che un assassino, presumibilmente cosparso di sangue, non abbia incrociato lo sguardo di nessun passante una volta abbandonato il luogo del delitto in via Levanna 35? Ha avuto modo di cambiarsi i vestiti da qualche parte? Essendo periodo di Carnevale i suoi abiti sono sembrati un mero traverstimento? Il killer indossava gli occhiali da vista? Il modello era quello “alla Cavour”? Forse e a trarre in inganno i cittadini romani sono state le testimonianze discordanti delle vittime dell’aggressione e di chi ha sostenuto di averlo incontrato prima e dopo l’omicidio del piccolo Cristiano.

La Mobile capitolina si occupò delle indagini

Sin dalle prime dichiarazioni rilasciate dalle due donne aggredite in via Levanna, emergono delle incongruenze relative ai dettagli della descrizione dell’assassino del piccolo Cristiano Aprile. Il killer aveva gli occhiali piccoli alla Cavour? Gli occhiali erano bianchi o neri? Che abiti indossava?

Dichiarazione di Fiorella Baroncelli: verbale 3 marzo 1987

La prima descrizione del killer fornita da Fiorella Baroncelli stona con la successiva rilasciata in televisione l’anno dopo.

L’aggressore era alto, un metro e settantacinque, forse un metro e ottanta. Molto magro, con spalle molto strette. Sembrava quasi denutrito. L’età del giovane era di circa 18-22 anni. Aveva capelli scuri, neri, con un taglio corto e pettinato a spazzola. La fronte era libera e abbastanza alta. Il viso era il classico ovale lungo. Mani lunghe e ossute. Occhi neri, naso dritto e labbra più sottili che carnose. Occhiali con lenti bianche, montatura metallica nera, rotondi, abbastanza piccoli, alla Cavour. Era vestito di grigio o marrone. Probabilmente di grigio”.

Fiorella Baroncelli e la figlia Giada

Dichiarazione di Giada Aprile: verbale 6 marzo 1987

Il ragazzo dell’aggressione era alto un metro e ottanta, un metro e ottantacinque. Alto ma con una corporatura così snella e magra che lo faceva sembrare ancora più alto. Tra i 18 e i 20 anni. Capelli scuri, corti e tagliati a spazzola, con una forma a cresta di gallo. Il viso era lungo, scavato. Il naso era dritto e regolare. Le labbra abbastanza sottili.

Giada non ricorda il colore degli occhi, ma ha memorizzato gli occhiali: “Occhiali rotondi, con una montatura metallica filiforme bianca e lenti bianche”. Infine aggiunge alcuni particolari sull’abbigliamento: “Era vestito con un giubbotto di pelle marrone scuro, di quelli che arrivano sino alla vita. Indossava pantaloni blue jeans”.

Dichiarazione di Fiorella Baroncelli a Telefono Giallo: 22 aprile 1988

Ad un anno di distanza, la versione della Baroncelli cambia radicalmente: “Era alto, molto magro, di una magrezza innaturale. Colorito livido, un pallido che andava nel livido. Occhi neri, capelli nerissimi, tagliati a spazzola”.

A queste dichiarazioni, la signora Baroncelli aggiunge un particolare che cambia la versione messa a verbale l’anno prima e che era stata determinate per la creazione dell’identikit del killer: “Occhiali cerchiati di scuro. Non occhialetti come erroneamente ha detto qualche giornale, ovvero occhialetti alla Cavour. Occhiali normali”.

La polizia in via Levanna dopo l’omicidio

Se i giornali, negli anni, hanno riportato questa informazione è perché era stata messa a verbale: una dichiarazione firmata dalla donna. È possibile che questo dettaglio, non di poca importanza, sia stato erroneamente inserito nell’identikit? Per un anno è stata cercata una persona che non corrispondeva all’assassino? Dopo un anno, la signora Baroncelli ricorda o ha sensazioni di ricordare? A parlare è la sua memoria o l’elaborazione del trauma? O forse le informazioni da lei fornite non corrispondono a verità? Quali saranno state quelle vere e attendibili? Quelle del 1987 o quelle dell’anno dopo?

Le testimonianze

Le indagini, coordinate da Rino Monaco, capo della Squadra Mobile, sono proseguite ininterrottamente per un anno intero. All’indomani del delitto sono stati interrogati gli inquilini dei civici 35 e 37 di via Levanna. La prima ad aver segnalato la presenza del ragazzo pallido è stata Marcela, condomina dello stabile dove vivevano gli Aprile:

“Il ragazzo aveva circa 20 anni, era molto snello e con spalle strette. Indossava un paio di pantaloni ed una giacca. Aveva capelli lisci, castani e corti a spazzola, con un leggero ciuffo. Era pallido e con un viso allungato. Non aveva occhiali”.

Anche la signora Elvisa, la donna delle pulizie che prestò soccorso a Fiorella Baroncelli e vide l’assassino uscire dall’appartamento degli Aprile, rilasciò una descrizione del ragazzo, sebbene non focalizzò l’attenzione su di lui poiché la Baroncelli non lo indicò come responsabile dell’aggressione: “Era alto circa un metro e settantacinque, snello e con capelli scuri. Indossava jeans, forse blu e un giubbotto scuro. Non portava occhiali”.

Tra le altre testimonianze andrebbe ricordata quella di Miriana, collaboratrice domestica che lavorava per una famiglia della palazzina di via Levanna. La sua dichiarazione venne raccolta da Carlo Bertolini il 26 febbraio, al quale confida di aver sentito delle grida mentre andava a lavoro, verso le 9, e di aver visto un giovane uscire dalla porta a vetri del condominio: “Un ragazzo di circa 20 anni e alto un metro e ottanta.”

Rino Monaco, già ex capo della Mobile e prefetto, scomparso nel gennaio del 2018

Infine, l’ultima testimonianza è quella di Nancy, che apprese la notizia dell’aggressione subita dalla famiglia Aprile dai giornali. Anche lei fu ascoltata dall’ispettore capo della Mobile romana, Carlo Bertolini, due giorni dopo l’omicidio del piccolo Cristiano. Percorrendo a piedi via Levanna, sostenne di aver incontrato un giovane che si dirigeva verso via Nomentana: “Aveva dei libri sotto al braccio. Portava gli occhiali, con lenti chiare, piuttosto piccole. Aveva tra i 18 e i 20 anni. Alto un metro e settantacinque. Corporatura normale. Carnagione piuttosto pallida”.

La donna disse che forse indossava un giubbotto, ma non ne ricordò il colore. La sua dichiarazione è l’unica che menziona i libri portati sotto braccio. Non solo. È l’unica testimonianza, insieme a quelle di Giada e Fiorella, che riportano la presenza di occhiali da vista sul volto del ragazzo.

Inoltre va precisato che la sua dichiarazione riporta un’orario non attendibile con la dinamica dei fatti. La chiamata al 113 arrivò alle 9.06. La donna, invece, disse di aver visto un giovane allontanarsi da via Levanna alle 8.45. Quanto c’è di vero in queste testimonianze? Quanto peso si dovrebbe dare alle descrizioni delle vittime dell’aggressione?

Una cosa è certa, il killer non è mai stato trovato. Sarà forse stata colpa di un identikit non tanto corrispondente alla realtà?

(Fine Quinta Parte)

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