La legge 219/2017 permette al cittadino di scegliere come curarsi. Concedendo, innanzitutto, la libertà di decidere se proseguire un trattamento sanitario attraverso il consenso informato. Un obiettivo importante per un concetto come l’autodeterminazione sulle scelta di vita e un passo avanti nella civiltà giuridica!
Era ora che anche l’Italia si adeguasse ed entrasse a pieno titolo nel novero delle democrazie liberali ed occupasse un posto di rilievo nel consesso delle civiltà giuridiche.
Sono trascorsi quasi due anni e mezzo dall’approvazione della Legge 22.12.2017 n. 219: “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”. La legge tutela “iI diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona”, stabilisce che “Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero ed informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Nel rispetto degli art. 2: diritti inviolabili dell’uomo; 23: nessuna imposizione patrimoniale può essere imposta, se non per legge; 32:tutela della salute individuale e collettiva, della costituzione e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Inoltre afferma il diritto di ogni persona di “Venire a conoscenza delle proprie condizioni di salute e di essere informata riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici ed ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto del trattamento sanitario” (consenso informato). Un aspetto importante della legge riguarda “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”.
Oltre al consenso informato la normativa prevede che le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), comunemente definite testamento biologico o biotestamento riguardano le future “Incapacità di autodeterminazione”. Ogni persona può esprimere le proprie volontà in materia di:
*accertamenti diagnostici”
*scelte terapeutiche”
*singoli trattamenti sanitari”
Tutte le disposizioni anticipate di trattamento verranno inserite nella Banca Nazionale delle Dat istituita presso il Ministero della Salute, attivata dal 1 febbraio 2020. Inoltre, è possibile indicare un fiduciario, chiamato a rappresentare l’interessato nelle relazioni col medico e con le strutture sanitarie.
Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) ha riconosciuto che sul piano etico non esistono obiezioni sul tema. Tuttavia, ha ritenuto di avanzare alcune riserve sulla struttura e le modalità di attivazione delle dat. In particolare, il CNB si è soffermato:
*sul rischio di astrattezza e ambiguità delle Dat”
*sulle indicazioni operative in esse contenute”
*sulla loro vincolabilità e attivazione”
A parere del Comitato le Dat non devono essere intese come una pratica che possa indurre o facilitare logiche di abbandono terapeutico e sono legittime solo nel rispetto dei seguenti criteri generali:
*Carattere pubblico con data e redatte in forma scritta da soggetti maggiorenni, non sottoposti ad alcuna pressione, informati e autonomi;
*Non abbiano finalità eutanasiche in contrasto col diritto positivo, la pratica medica e la deontologia professionale;
*Garantire la massima personalizzazione della volontà del paziente mediante una consulenza del proprio medico che possa controfirmarle.
Il prof. Stefano Canestrari, ordinario di diritto penale all’Alma Mater Studiorum, l’Università di Bologna, nella memoria scritta relativa all’audizione presso la Commissione degli Affari Sociali della Camera dei Deputati, in data 28 aprile 2016, ha definito le dat “una buona legge buona” e “iI richiamo esplicito ai principi costituzionali e a quelli europei individua una pluralità di diritti fondamentali che riconoscono la massima ampiezza dell’autodeterminazione terapeutica fino al diritto di vivere tutte le fasi della propria esistenza , senza subire trattamenti sanitari contrari alla propria volontà”.
Il tema ha scatenato forti diatribe tra chi è favorevole alla legge e chi contrario, questo perché tocca una sfera molto delicata che ha a che fare con aspetti fondamentali per una società civile quali l’Autodeterminazione, l’Etica e la Morale. I cattolici sono presenti in entrambi gli schieramenti, anche se la Chiesa ha assunto una posizione orientativa, sottolineando che “non è una legge cattolica”. Tra i favorevoli l’area radicale, laica e progressista della società civile e politica, considerando la legge un’opportunità ulteriore per le libertà individuali e collettive dei cittadini e dei diritti fondamentali dell’uomo, nel rispetto della nostra carta costituzionale. Tra i contrari, invece l’area più tradizionalista della Chiesa e quelle associazioni della società civile che si richiamano a valori come la difesa della vita e della famiglia tout court.
Interessante, invece, risulta una ricerca promossa da Vidas, un’associazione senza scopo di lucro fondata nel 1982 a difesa del diritto del malato a vivere con dignità gli ultimi momenti di vita, presentata nel 2019, in cui risulta che solo lo 0,7% degli italiani ha redatto le dat. Le più sensibili al tema sono le donne non credenti d’età compresa tra il 26 e 40 anni. Solo il 19% dichiara, tuttavia, di essere bene informato. I più favorevoli e ben disposti verso la legge sono i cittadini residenti nelle regioni del nord-ovest d’Italia, atei e/o agnostici, con un livello di istruzione medio-alto. I meno informati e che ignorano completamente la legge risiedono a sud, credenti e over 70. Dalla ricerca emerge, purtroppo, anche che ancora troppi comuni non sono attrezzati per la raccolta dei dati. A testimonianza di come sia sempre forte il divario tra fare le leggi e applicarle, tra teoria ed efficacia dell’azione legislativa, tra fatti concreti e valori pregressi. Allora è proprio vero quel famoso proverbio popolare che dice: “Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”. Saggezza popolare.