Parla l’ex procuratore di Palermo, tra i primi a Roma a occuparsi della scia di sangue lasciata dal sodalizio criminale della Capitale.
Roma – Solo ieri è emerso con chiarezza che Antonio Nicoletti, figlio di Enrico, l’ex cassiere della banda della Magliana avrebbe favorito, secondo quanto è riportato nell’informativa dell’inchiesta ‘Assedio’ della DDA capitolina, la latitanza romana del boss di Cosa Matteo Messina Denaro. Il boss, deceduto nel reparto detentivo dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, pochi mesi dopo la cattura, avvenuta da parte dei carabinieri del Ros, dopo 30 anni di superlatitanza. Secondo quanto emerso Messina Denaro si sarebbe recato a Roma, per essere sottoposto ad alcune visite oncologiche in un ospedale della Capitale. E oggi Leonardo Agueci, ex procuratore aggiunto di Palermo, accarezza l’ipotesi avanzata. Il magistrato fu infatti tra i primi, a occuparsi, quando era alla Procura di Roma, negli anni Ottanta, della Banda della Magliana.
Nicoletti Jr. in una intercettazione ambientale di una conversazione tra più interlocutori, tra cui un ex giocatore di calcio captata a luglio del 2018 dagli investigatori del centro operativo della Dia di Roma diceva: “Oh, ma ti ricordi quel giorno con chi mi sono incontrato io? .. Ma te lo ricordi o no?.. con quello la.. Io mi ci sono incontrato… proprio con lui personalmente. Oh, dentro ad un ospedale sei mesi fa..”. Antonio Nicoletti, in quella circostanza si offrì di mediare con la società Trapani Calcio, per far ottenere all’amico calciatore un posto da allenatore. Massimo invece, l’altro figlio dell’ex cassiere della banda della Magliana Enrico, definisce il fratello Antonio che si era interessato ad una vicenda sanitaria: “più potente del Ministro della sanità”.
E ora Agueci interpellato da Adnkronos racconta: “Già a metà degli anni Settanta gli esponenti della Banda della Magliana avevano dei contatti con la criminalità organizzata, in particolare con la camorra. Ma anche con Cosa nostra. Basti ricordare i rapporti tra il ‘cassiere della mafia’ Pippo Calò con i romani. Ricordo il calibro criminale di Enrico Nicoletti. Quindi, non mi stupirebbe che il figlio Antonio avrebbe aiutato il boss Matteo Messina Denaro durante la latitanza”. Nicoletti junior avrebbe dato il suo contributo a Messina Denaro durante il suo passaggio a Roma per alcune visite oncologiche.
“Quando si hanno degli agganci così ramificati nell’ambito di qualsiasi declinazione del potere – dice ancora l’ex procuratore oggi in pensione – non è difficile che si possa arrivare a qualcosa del genere. Il padre di Nicoletti si occupava in particolare di reinvestire i capitali di Renato De Pedis, come constatammo all’epoca in procura”. Emerge, dunque, un filo rosso tra il boss morto a settembre di un anno fa e la sua latitanza nella Capitale dove si sarebbe recato per alcune visite oncologiche. Antonio Nicoletti sarebbe stato al vertice del gruppo criminale romano che aveva dei rapporti con Cosa nostra, come emerge proprio dall’informativa.
E ancora il magistrato, che ha coordinato numerose inchieste su Cosa nostra, ricorda che negli anni Ottanta “emerse un sodalizio criminoso con varie ramificazioni che ha controllato il mondo del crimine romano per un decennio, fino agli anni ’90”. Era per Agueci “una associazione criminale vera, che faceva rapine, omicidi, traffici si stupefacenti e sequestri di persona, come il sequestro Grazioli del 1978. Una associazione che godeva di ramificazioni e contatti importanti con ambienti delle istituzioni, della imprenditoria, della politica e anche della magistratura e dello Stato, parlo dei servizi segreti”.