La Chiesa di Roma si avvia verso una serie di importanti riforme che riguardano l’integrità morale degli alti prelati e Papa Francesco è l’artefice di questa ventata di pulizia su cui più di qualcuno avrebbe da ridire
Roma – Continua a passo di marcia l’agenda di Papa Bergoglio per la riforma della Curia. Un cambiamento che, se verrà realizzato nella sua interezza, cambierebbe per sempre il volto della Santa Sede. E in meglio. Fedina penale, ricchezze private e investimenti, sono alcuni dei punti più importanti.
Se fino ad oggi vescovi e cardinali rinviati a giudizio per gravi reati erano chiamati a rispondere esclusivamente davanti alla Corte di Cassazione (presieduta da un porporato e composta da tre cardinali e due o più giudici applicati), d’ora in avanti gli alti prelati che sbagliano saranno sottoposti in primo grado al giudizio del Tribunale, cosi come avviene per tutti. Per procedere occorrerà comunque l’autorizzazione del Sommo Pontefice.
Per i dirigenti vaticani, preti e laici, inclusi i cardinali ai vertici dei dicasteri, ci sarà anche una maggiore attenzione alla fedina penale: i dirigenti della Santa Sede dovranno infatti sottoscrivere una dichiarazione in cui si attesti di non aver subito condanne, di non essere sottoposti a provvedimenti penali per reati quali corruzione, frode, evasione fiscale, terrorismo, riciclaggio, sfruttamento di minori, pedofilia (di cui non si contano nemmeno più gli episodi spesso insabbiati) e una dichiarazione in cui si afferma di non possedere beni mobili e immobili nei paradisi fiscali.
Sarà inoltre vietato detenere quote in società contrarie ai principi cattolici (ad esempio le case farmaceutiche produttrici della pillola del giorno dopo). Per finire sarà proibito accettare donazioni o regali di valore superiore a 40 euro. Inoltre il Papa ha deciso di dare letteralmente un taglio agli stipendi di cardinali, capi di dicastero, segretari e religiosi, che saranno rispettivamente decurtati del 10%, dell’8% e del 3%.
Ovviamente critiche e perplessità non sono mancate ma Bergoglio con questi procedimenti “innovativi e sacrosanti” sta semplicemente rendendo operativo uno dei principi teologici che fanno da cardine al concilio Vaticano II: tutti i battezzati nella Chiesa godono infatti di pari dignità e tutti fanno parte dell’unico santo popolo di Dio.
Finora si era sempre predicato bene e razzolato male. E non fanno eccezione, con tutto il rispetto, i predecessori di Papa Francesco, che nulla hanno fatto per cercare di dare nuovo lustro alla Santa Sede.
Basti pensare al primo, enorme scandalo dei nostri tempi del Vaticano, che ha visto protagonista monsignor Paul Marcinkus (chiamato “il banchiere di Dio”), presidente dello Ior dal 1971 al 1989.
Costui vantava un curriculum a dir poco inquietante: nel 1982 fu accusato di aver avuto un ruolo chiave nel crack del Banco Ambrosiano e nella morte di Roberto Calvi (il banchiere alla guida dell’istituto di credito legato all’Istituto Opere Religiose, trovato impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri).
Solo 5 anni dopo i magistrati italiani emanarono un mandato di cattura internazionale nei confronti di Marcinkus, ma il monsignore godeva dell’immunità vaticana e rimase impunito.
Il “banchiere di Dio” era stato associato anche alla morte di Giovanni Paolo I, nonché alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ma la lista dei suoi “affari” più o meno leciti risulta lunghissima.
Che un simile individuo sia rimasto per anni alla guida della banca vaticana, godendo della totale impunità, oltrepassa il paradossale ed ha rappresentato un danno enorme per l’immagine della Santa Sede, che già all’epoca non vantava, per cosi dire, un profilo immacolato.
Nonostante il curriculum del prelato col sigarone né Giovanni Paolo II, né Benedetto XVI, fecero mai nulla affinché si potesse cambiare quell’andazzo negativo. Bergoglio, di contro, potrebbe rappresentare la svolta e segnare l’inizio di una nuova era.
Come egli stesso ebbe modo di affermare nell’omelia durante il Concistoro in cui vennero insigniti 13 nuovi cardinali, vi sono “…tanti generi di corruzione nella vita sacerdotale…”, aggiungendo che il rosso porpora dell’abito “può diventare quello dello spirito mondano, quello di una eminente distinzione… Se accade una cosa del genere, “…tu non sei più il pastore, vicino al popolo: sentirai solo di essere un’eminenza…”.
E troppo spesso i pastori sono diventati lupi. Famelici.