L’economia sociale? Da noi (per fortuna) va a gonfie vele

L’economia sociale cresce in Italia con oltre 400mila associazioni e 1,5 milioni di occupati. Sfide, opportunità e il Piano d’Azione UE.

Negli ultimi decenni si è sviluppata con alacrità la cosiddetta “economia sociale”. Trattasi di attività senza scopo di lucro e di utilità sociale, realizzate dalle organizzazioni di terzo settore che nel loro agire sono mosse da principi quali la reciprocità e la democrazia. Già parlare di attività economiche senza scopo di lucro è una sorta di ossimoro, in quanto il concetto di economia, seppur il suo significato etimologico è “amministrare la casa”, si è imposto come: produzione; consumo; sistema monetario. E per mettere in moto questi tre fattori servono soldi, perché “c’est l’argent qui fait la guerre”.

Comunque, secondo i dati diffusi da Euricse -una Fondazione dell’Università degli Studi di Trento che collabora con imprese e istituzioni locali per implementare strategie di sviluppo e di innovazione- è un settore che nel Belpaese consta di quasi 400mila associazioni in cui prestano servizio di volontariato oltre 466mila volontari. E’ cresciuta sia l’occupazione, circa 1,5 milioni di occupati, che l’influsso economico sulla società. L’economia sociale è sorta per erogare servizi ai bisogni dei cittadini ed oggi, malgrado il suo sviluppo, si trova di fronte ostacoli posti dai modelli economici tradizionali, fondati sul mercato e sulla competitività.

Secondo la Fondazione il modello sociale si è sviluppato grazie alla grande recessione del 2008, alla crisi del debito sovrano nel periodo 2011-2012, la pandemia, la scarsità energetica e la guerra in Ucraina. D’altronde l’etimologia “crisi” deriva dal greco e sta a significare “scelta”, “decisione”, quindi, sta a indicare la necessità di decidere, scegliere, con coraggio! L’aspetto interessante è che in questo tipo di economia sono occupati persone ai margini del mercato ufficiale che non avrebbero mai trovato un impiego. Inoltre, nei periodi di magra, si tratta di imprese che non lasciano a casa i lavoratori, ma, ad esempio, riducono gli utili per mantenere costante l’occupazione.

A differenza del mercato tradizionale che salvaguarda il capitale, qui si tutela il lavoro. Inoltre vi sono occupati molte donne e giovani. Le attività in cui l’economia sociale trova terreno fertile sono quelle artistiche, sportive, intrattenimento, sanità e assistenza, istruzione, trasporto e servizi alle imprese. Una vasta gamma di servizi erogati, quindi, con la novità, rispetto al passato, è che si tratta di un’economia plurisettoriale. Tuttavia è emersa una criticità, dovuta al fatto che in nostro Paese è carente di strumenti statistici per l’economia sociale. Quelli esistenti riguardano singoli gruppi, il Terzo settore e le cooperative. Manca un’analisi statistica ufficiale complessiva che inglobi tutte le varie forme giuridiche di imprese e associazioni.

Entro la fine di quest’anno l’Italia deve presentare all’Unione Europea (UE) il “Piano d’azione per l’economia sociale”, su cui verrà redatto un rapporto nel 2027. Il Piano non dovrà contenere solo un elenco di principi e buoni propositi, ma impegni precisi e protocolli d’azione. Già il fatto che sia sorta un’economia diversa da quella tradizionale, fondata principalmente sul profitto e legata alle sole logiche di mercato, che ha cambiato il paradigma culturale privilegiando valori quali inclusione, socialità e democrazia, è un grosso passo in avanti. I dubbi restano ma l’augurio è che l’economia sociale possa estendersi con ancora più vigore e sostegno!

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