Gli attacchi nella conversazione tra il capogruppo di Fdi in Regione Calabria e il mediatore del clan Araniti, Daniel Barillà.
Reggio Calabria – “Poi io scasso. È capace pure che vedo per strada la Candito e le sputo in faccia, capito? Evitiamo pure”. Così si esprimeva Giuseppe Neri, capogruppo di FdI in Regione Calabria, tra gli indagati nell’inchiesta sullo scambio politico mafioso che avrebbe inquinato le elezioni in Calabria, in una conversazione intercettata dagli inquirenti con Daniele Barillà, considerato il mediatore del clan Araniti. Gli strali di Neri erano rivolti ad Alessia Candito, giornalista di Repubblica.
“ll problema qual è però – si lamentava sempre Neri con Barillà – che siccome la politica la fanno i giornalisti, oggi non sono in condizione di fare politica”. Lo sfogo di Neri deve collocarsi nel periodo in cui, quattro anni fa, dopo l’arresto del neoeletto consigliere regionale di Fratelli d’Italia Domenico Creazzo, anche intorno a lui era stata fatta terra bruciata dal suo stesso partito, dato che anche nella carte di quell’inchiesta era emerso il suo nome.
E allora Neri spandeva il suo livore sui giornalisti perché “sono tutti comunisti del cazzo, Musolino, Candito, quell’altro là di LaC, tutti comunisti del cazzo”. E pensare che fino a pochi anni prima, quando ancora non si era scoperto “fratello d’Italia”, lo stesso Neri militava proprio nella sinistra Pd.