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L’assoluzione di Zuncheddu e quelle strane assonanze con la strage di Erba

Il supertestimone Luigi Pinna che sembra recitare lo stesso copione di Mario Frigerio. Ma nel frattempo sono passati 33 anni di carcere ingiusto.

Burcei – Campane a festa, venerdì scorso, a Burcei, paesino di tremila anime nell’entroterra della provincia di Cagliari. Beniamino Zuncheddu è tornato a casa dopo 33 anni di carcere ingiusto, assolto a seguito di revisione processuale avverso una sentenza di condanna all’ergastolo “per non aver commesso il fatto”. Ad attenderlo tutto il paese, centro montano costellato di boschi e sorgenti. Nessun, lì e altrove, ha mai creduto fosse colpevole. «Desideravo avere una famiglia, costruire qualcosa, essere un libero cittadino come tutti. Trent’anni fa ero giovane, oggi sono vecchio. Mi hanno rubato tutto. Adesso mi riposerò, almeno mentalmente». 

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Beniamino era stato arrestato quando aveva 26 anni, sbattuto in cella con l’accusa di strage, tre morti ammazzati e un ferito, e ora che di anni ne ha 59 anni, può vantare il triste primato del più grave errore giudiziario della storia della Repubblica italiana. Si era sempre professato innocente, aveva anche chiesto la grazia e gliela avevano negata. Da otto mesi poteva almeno uscire in semilibertà, lavorava e rientrava in cella la sera.  Una storia finita bene, giustizia ristabilita, ma niente cancellerà quegli 11.958 giorni da innocente. Una vita rubata. «Non sono l’unico, ci sono altri innocenti nelle carceri, chi avrà voglia di leggersi le carte troverà la verità» ha detto ancora Beniamino Zuncheddu davanti alle telecamere. 

Lo avevano arrestato nel 1991 con l’accusa di aver ucciso a fucilate tre pastori e di averne ferito un quarto, quel Luigi Pinna che diventerà supertestimone e dirà che aveva riconosciuto Beniamino dentro l’ovile di Cuili is Coccus, nel meraviglioso territorio del Sinnai.  Il movente fu individuato in una lotta agropastorale per vecchi dissidi e rancori tra Zuncheddu e la famiglia Fadda: vacche uccise, cani impiccati, aggressioni fisiche, scazzottate, minacce di morte da entrambe le parti. A morire furono proprio Gesuino Fadda e suo figlio Giuseppe, poi toccò a Ignazio Pusceddu e infine a Pinna, genero di Fadda. E fu proprio lo stesso Pinna, che a un mese dagli eventi indicò Beniamino come l’autore della strage. Un super testimone che tanto super non era: in fase di revisione processuale emerse che un poliziotto, all’epoca dei fatti, mostrò al superstite una foto di Beniamino, indicandolo come l’autore della strage, e lui semplicemente aderì a quell’indicazione. Passò dal dichiarare che non aveva potuto vedere in faccia il killer, poiché aveva il viso nascosto da una calza, a indicare Zunchueddu come autore della strage. Le intercettazioni disposte dall’allora procuratrice generale della Corte d’appello di Cagliari (oggi di Milano) Francesca Nanni, insieme alle indagini difensive dell’avvocato Mauro Trogu, hanno smontato l’intero impianto accusatorio menzognero.

«Le carte parlavano di prove a carico assolutamente contradditorie, le indagini difensive hanno dimostrato la falsità di quelle prove a carico e rimanevano solo quelle a discarico» ha dichiarato il legale. Decisiva al riguardo un’intercettazione, quando Pinna fu convocato a palazzo di giustizia dalla Procuratrice Nanni, che lo stimolò a dire la verità.  «Io stavo preparando la richiesta di revisione, quindi lo chiamai per chiarimenti. Quando uscì andò dalla moglie che lo aspettava in macchina e disse “quelli hanno capito, sanno la verità”».

Un labirinto di bugie, depistaggi, ritrattazioni e false testimonianze ha contaminato le prove e fuorviato gli iter processuali. Un cold case nel quale vi sono molte assonanze con quello della cosiddetta Strage di Erba, la cui richiesta di revisione processuale è stata accolta dalla Corte d’Appello di Brescia: un supertestimone che sembra non esserlo in quanto affetto da cerebrolesione e amnesia anterograda dunque con un’efficienza cognitiva, in particolare mnestica che lo avrebbe reso non idoneo a rendere testimonianza (Mario Frigerio, che individuò in Olindo Romano l’aggressore); intercettazioni ambientali mai interamente udite e trascritte che sono prove a discarico dei condannati (intercettazioni ambientali nella stanza ove il sopravvissuto era ricoverato e intercettazioni ambientali nell’abitazione e nell’auto dei coniugi).

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E ancora, un movente che indica in vecchi rancori e litigi pregressi la motivazione ad uccidere quattro persone; ancora, un’azione omicidiaria che, come nel caso di Zuncheddu, è molto più probabile sia da ricondurre a un commando di assassini professionisti piuttosto che a quella di un netturbino e una domestica a ore privi di agilità, prestanza fisica e di tecniche da arma bianca molto peculiari. Altri due innocenti in carcere? Diciotto anni di ingiusta detenzione? Saranno i giudici a stabilirlo. L’appuntamento è fissato per il 1° marzo a Brescia, data della prima udienza della revisione processuale. 

Certo è che la Giustizia ne esce molto malandata.

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