La vita rubata di un innocente dietro le sbarre

Da testimone a imputato senza prove: anni di carcere preventivo, una condanna ingiusta, l’assoluzione in appello e oggi la battaglia davanti alla Corte Europea per i diritto dell’uomo.

Brindisi – L’esistenza di una persona può cambiare in una sola notte. Ci si può ritrovare catapultati in un incubo giudiziario senza preavviso. Può succedere a tutti – nessuno escluso – ed è quello che è capitato a Fabio Bonifacio, la cui unica colpa è stata trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una storia che parla di errori investigativi, di un sistema che condanna prima di comprendere, di una famiglia distrutta da accuse infondate.

È il 26 novembre 2002 quando la vita di Fabio Bonifacio, ventiduenne di San Pietro Vernotico (Brindisi), cambia per sempre. Quella sera il ragazzo sta tornando a casa con un amico dopo un’uscita come tante altre, trascorsa tra una chiacchiera e una birra. Durante il tragitto, i due notano un’automobile abbandonata con i fari accesi lungo la strada. Riconoscendo il veicolo di un conoscente, Bonifacio decide di fermarsi per verificare cosa stia succedendo. Non può immaginare che quel gesto innescherà un meccanismo giudiziario devastante.

Il proprietario dell’auto è vittima di un sequestro lampo. Gli investigatori, pressati dall’urgenza di trovare un colpevole, puntano i riflettori sul giovane testimone. Nonostante le sue dichiarazioni coerenti e l’assenza totale di prove a suo carico, iniziano pedinamenti e intercettazioni telefoniche. Le indagini non producono alcun elemento di colpa ma questo non ferma l’ingranaggio accusatorio.

Due mesi dopo il ritrovamento dell’auto, il ragazzo viene convocato nuovamente dalle forze dell’ordine. Pensa che sia una formalità, invece si ritrova ammanettato senza mandato di cattura e senza assistenza legale. L’arresto avviene in modo drammatico, con armi puntate e un clima di tensione che lo sconvolge completamente.

Seguono mesi di detenzione tra Brindisi e Foggia, poi anni di arresti domiciliari. Durante questo periodo, gli inquirenti tentano ripetutamente di convincerlo a patteggiare ma lui rifiuta categoricamente. Accettare un compromesso significa ammettere responsabilità inesistenti.

Carcere Brindisi

Il primo grado si rivela un disastro processuale. Cinque pubblici ministeri si succedono nel caso, le testimonianze risultano contraddittorie e inattendibili. I carabinieri forniscono versioni discordanti sui fatti, il padre della vittima modifica le proprie dichiarazioni. Nonostante l’evidente fragilità dell’impianto accusatorio, arriva una condanna a cinque anni.

Solo in appello la verità emerge chiaramente. I magistrati riconoscono l’estraneità totale dell’imputato ai fatti contestati, emettendo un’assoluzione piena. Tuttavia, quando si tratta di riconoscere un indennizzo per gli anni di sofferenza patiti ingiustamente, la risposta è negativa. Secondo i giudici, l’uomo ha in qualche modo contribuito agli eventi che lo hanno travolto. Oltre al danno, la beffa. La vittima di quello che rappresenta l’ennesimo errore giudiziario italiano non si arrende, prosegue la sua lotta, ma anche la Suprema Corte gli negherà l’indennizzo.

Oggi, a distanza di anni, la vita riparte faticosamente. C’è una famiglia da mantenere, un lavoro precario da portare avanti, un padre anziano che continua a lavorare per sostenere economicamente il figlio. Le opportunità professionali perse durante la vicenda giudiziaria lasciano cicatrici profonde. Ma Bonifacio è abituato a non arrendersi e presto si rivolgerà alla Corte europea per i diritti dell’uomo attraverso i legali dell’associazione vittime errori giudiziari Art.643, per raccontare ancora una volta i contorni di una storia di ordinaria ingiustizia, con la speranza – questa volta – di essere ascoltato.

Corte Europea per i diritti dell’uomo

L’esperienza carceraria segna indelebilmente la memoria. Celle sovraffollate, igiene precaria, pochissime ore di libertà quotidiana. Ma anche solidarietà inaspettata: compagni di detenzione proteggono il giovane innocente dalle notizie tragiche che arrivano dall’esterno, nascondendogli per mesi un grave incidente che coinvolge il fratello.

Il dolore più grande è vedere la reazione delle persone vicine. Amici che negano di conoscerlo, colleghi che lo abbandonano, conoscenti che lo giudicano basandosi su quello che leggono, senza attendere la verità processuale. La madre vive un calvario parallelo, gridando disperatamente l’innocenza del figlio dal giorno dell’arresto fino all’assoluzione finale.

Ora rimane un’ultima carta da giocare: il ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo. È l’estremo tentativo di ottenere giustizia per un’ingiustizia che gli ha rubato anni preziosi di vita. Una battaglia che va avanti con il supporto dell’associazione.

Cosa racconterà Fabio a sua figlia, quando sarà cresciuta potrà comprendere cosa gli è accaduto? “La mia bambina dovrà sapere quello che ho passato – risponde – e dovrà sapere che non ci si può fidare di tutti. La vera giustizia deve essere quella che indaga e poi arresta, non il contrario, come è successo a me. Basta con il carcere preventivo che diventa una condanna per gli innocenti”.