La vita ai margini dei Ramponi

I tre fratelli che si sono barricati in casa provocando un’esplosione rischiano l’accusa di strage. La deflagrazione ha causato la morte di 3 carabinieri.

Castel D’Azzano – La tragedia che ha sconvolto Castel D’Azzano affonda le radici in una lunga battaglia legale e in un profondo senso di ingiustizia percepito da tre fratelli che vivevano reclusi nella loro casa colonica. Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, rispettivamente di 64, 62 e 59 anni, hanno trasformato l’abitazione di via San Martino 22 in una trappola mortale utilizzando bombole di gas e bottiglie incendiarie, nel disperato tentativo di resistere allo sgombero disposto dal tribunale.

La vicenda giudiziaria che ha innescato questa escalation risale a diversi anni fa, quando Franco richiese un finanziamento di settantamila euro al Credito Padano per avviare una coltivazione di frutta sui terreni ereditati dai genitori. Le rate del prestito smisero però di essere versate quasi immediatamente, dando il via a un contenzioso che si sarebbe protratto per anni. L’uomo contestò sempre la validità di quel contratto, sostenendo che la sottoscrizione fosse stata apocrifa e attribuendola al fratello Dino. Produsse anche analisi grafologiche a supporto della sua tesi, ma il giudice respinse le sue argomentazioni, anche considerando che parte della somma era stata utilizzata per estinguere altri debiti intestati a Franco stesso.

I tre fratelli, mai sposati e senza discendenti, conducevano un’esistenza completamente isolata dal contesto sociale. Chi li frequentava li descriveva come persone cresciute senza alcun contatto con l’esterno, dedite esclusivamente al lavoro nei campi e all’allevamento di una trentina di bovini che facevano pascolare nelle ore notturne. L’abitazione era priva delle utenze di base e i Ramponi illuminavano i terreni con un proiettore per lavorare al buio. La loro diffidenza verso il mondo circostante era tale che non si rivolgevano nemmeno ai servizi sociali comunali per richiedere assistenza.

Da due anni la proprietà era sottoposta a procedura esecutiva dopo il pignoramento, con l’asta di vendita imminente. Nel novembre dello scorso anno i fratelli avevano già tentato di impedire lo sgombero saturando l’immobile di gas, episodio che aveva spinto la procura a programmare una perquisizione per verificare la presenza di armi. Maria Luisa aveva dichiarato pubblicamente che stavano lottando da cinque anni contro quello che consideravano un esproprio illegittimo, sostenendo che i beni sottratti avessero un valore di circa un milione di euro.

La sindaca di Castel D’Azzano, Elisa Guadagnini, ha riferito dei tentativi fatti dall’amministrazione per stabilire un dialogo con i Ramponi. Un’assistente sociale era riuscita ad avvicinare Maria Luisa con un approccio informale, riuscendo a convincerla a partecipare ad alcuni incontri. Tuttavia, la donna era rimasta irremovibile nella sua posizione di non abbandonare l’abitazione in nessun caso. Nel 2021 uno dei fratelli era salito sul tetto del palazzo di giustizia di Verona minacciando un gesto estremo.

La famiglia portava il peso anche di un altro evento drammatico: anni prima un loro mezzo agricolo privo di dispositivi luminosi era rimasto coinvolto in un incidente stradale costato la vita a un autotrasportatore. Ieri mattina, mentre Franco e Dino si sono asserragliati all’interno, Maria Luisa ha parlato con chi si trovava all’esterno ribadendo la determinazione a resistere con ogni mezzo, incluso l’utilizzo del gas come strumento di difesa. Ora i tre fratelli rischiano di rispondere dell’accusa più grave: quella di strage.