francoforte

La Sicilia dei figli perduti

Tre destini spezzati, una verità celata nell’ombra. Francofonte tace ma le cicatrici restano indelebili nel cuore del paese.

Francofonte – Un piccolo comune della provincia di Siracusa, incastonato tra gli ulivi e le colline dell’entroterra siciliano. Un paese come tanti, apparentemente tranquillo, dove ci si conosce per nome e ci si incontra in piazza, soprattutto nei mesi più miti. Eppure, dietro questa facciata, si nasconde una storia che non tutti vogliono ricordare, fatta di assenze, di pianti nascosti, di verità mai dette. Tra il 1984 e il 1993, tre ragazzi – Giovanni Caruso, Vincenzo Tutino e Angela Ponte – venivano inghiottiti da un buco nero fatto di vendette, paura e misteri mai risolti.

La prima tragedia avvenne nel 1984. Giovanni Caruso aveva solo undici anni quando scomparve. Era figlio di un pregiudicato noto in paese, anch’egli di nome Giovanni, figura di spicco nei giri della piccola criminalità locale. Trentanove giorni dopo la sparizione, il bambino fu ritrovato cadavere in un burrone, incappucciato, forse anche bruciato.

La scena fu devastante. Alla notizia del ritrovamento, il padre si accasciò sul corpo del figlio urlando: «Me l’hanno ammazzato». Fu il suo primo pianto pubblico, dopo giorni di silenzio e imperturbabile durezza. Gli investigatori parlarono fin da subito di una vendetta, una ritorsione contro il padre per antichi sgarri, affari saltati o inimicizie che nel tempo avevano scavato solchi profondi.

Giovanni Caruso senior aveva sempre negato di avere nemici, eppure il sospetto era più forte di ogni smentita. Troppo brutale la morte del figlio, troppo mirata. All’epoca dei fatti Francofonte era attraversata da tensioni sotterranee che nessuno osava nominare. Il bambino era l’unico figlio maschio di una famiglia isolata, che viveva ai margini del paese, lontano da tutto. Forse proprio in quell’isolamento si annidava la fragilità. Forse, in quel silenzio, si nascondeva la condanna. Nonostante le indagini serrate e le piste mafiose ipotizzate dai carabinieri, nessuno fu mai condannato.

Le indagini dei carabinieri

Due anni dopo, nel luglio del 1986, la storia sembrò ripetersi. Stavolta la vittima si chiamava Vincenzo Tutino, quattordici anni, figlio di una famiglia di emigranti rientrata da poco dalla Germania. Il giorno della sua scomparsa, Vincenzo era stato visto in compagnia di un altro bambino, Giuseppe Laudani, di undici anni. Ma quest’ultimo non riuscì a fornire alcuna informazione utile. Il corpo senza vita di Vincenzo fu ritrovato giorni dopo dentro una cisterna profonda dieci metri, nelle campagne di Francofonte. Il cadavere era carbonizzato, segno di una volontà feroce di cancellare ogni traccia.

Il ritrovamento del corpo di Vincenzo Tutino

Anche in questo caso, le ipotesi degli inquirenti si concentrarono su una possibile vendetta. Nonostante la famiglia Tutino avesse dichiarato di non avere mai avuto nemici, si parlò di ritorsioni, di dissidi antichi, forse legati ad ambienti criminali o questioni economiche irrisolte. I genitori avevano inizialmente temuto un sequestro di persona a scopo di estorsione.

Avevano perfino offerto la loro casa, costruita con fatica dopo anni di lavoro in Germania, pur di riabbracciare il figlio. Ma quel sogno si spense tra le pareti fredde di una cisterna, lasciando solo un’eco di grida e una telefonata inquietante ricevuta dalla sorella, che gli investigatori archivieranno come uno scherzo di sciacalli. Anche questa volta, la comunità tacque. Nessun colpevole, nessuna verità.

Poi arrivò il 1993. Angela Ponte, quattordici anni, uscì di casa del fratello nel tardo pomeriggio del 2 gennaio per tornare a piedi nella sua abitazione in contrada Sant’Antonio. Non era mai uscita da sola per compiere quel tragitto. Per tornare a casa doveva attraversare il cuore del paese, passare davanti alla stazione dei carabinieri, camminare tra vie trafficate che ben conosceva. Nessuno la vide più. Nessuno ricordava di averla incrociata, né di avere sentito urla o notato movimenti strani. Semplicemente svanita. Inghiottita dal nulla.

Angela Ponte

Le ricerche furono serrate, l’attenzione dei media alta. La trasmissione Chi l’ha visto? se ne occupò più volte nel corso degli anni. Ma nessuna pista concreta portò a qualcosa. Nessun sospetto fu mai formalizzato, e soprattutto, Angela non fu mai ritrovata. La sua scomparsa resta uno dei misteri più dolorosi e inquietanti della provincia.

Tre tragedie. Tre bambini. Tre famiglie spezzate. E un paese, Francofonte, che sembra aver scelto, nel tempo, il silenzio come unica forma di sopravvivenza. Le somiglianze tra i casi sono troppe per essere ignorate. Tutte le vittime erano giovanissime, tutte provenivano da famiglie semplici o in qualche modo legate a contesti difficili. Tutti i casi si sono verificati in un arco temporale di meno di dieci anni, nella stessa area geografica, senza che vi fosse una chiusura giudiziaria definitiva. E in ogni episodio, aleggia l’ombra della vendetta, della punizione simbolica o del regolamento di conti.

Francofonte è rimasta prigioniera di questi fantasmi. Le domande, nel tempo, si sono spente sotto il peso della rassegnazione. Le madri e i padri hanno pianto nel silenzio delle loro case, mentre i sospetti, i mezzi indizi, le confessioni taciute hanno alimentato il senso di impotenza. Ma la verità, quella piena, quella che ti fa appoggiare la testa sul cuscino per mettere a tacere i pensieri non è mai venuta a galla. Forse perché troppo pericolosa e scomoda, forse perché, in fondo, qualcuno ha deciso che fosse meglio dimenticare.

Eppure, non si dimentica. Non si dimentica Giovanni Caruso, che a undici anni pagò forse il prezzo di colpe che non erano le sue. Non si dimentica Vincenzo Tutino. E non si dimentica Angela Ponte, che ancora oggi vive nei ricordi di chi non si è mai arreso alla sua scomparsa. Le loro storie urlano giustizia. Chiedono che qualcuno parli. Che il paese finalmente rompa il silenzio. Subito.

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