L’Italia è il luogo in cui la molestia sessuale, soprattutto sul luogo di lavoro, è radicata nella sua stessa cultura sessista.
Roma – Le molestie sessuali sul lavoro si manifestano anche a parole. Le molestie sessuali sul luogo di lavoro verso le donne rappresentano una piaga ostica e difficile da curare. Nonostante siano stati compiuti enormi passi avanti nell’emancipazione femminile, sussistono ancora retaggi di una cultura patriarcale.
Le violenze sessuali sul luogo di lavoro non sono solo quelle che si materializzano in forma di aggressione fisica ma anche quelle esercitate a parole. Solitamente sono reiterate da un superiore gerarchico ai danni delle proprie dipendenti o collaboratrici, ostentando la posizione di potere o di autorità che esercita all’interno dell’azienda o ufficio.
Le molestie sessuali, oltre a rientrare in una specifica e rigorosa fattispecie penale, sono equiparate alle discriminazioni per ragioni di genere secondo il testo unico delle pari opportunità. Infatti, la legislazione le individua in tutti: quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
Una sentenza del Tribunale di Como, di qualche anno fa, sostanziò in maniera concreta le molestie sessuali. Una dipendente aveva denunciato per molestie sessuali il proprio datore di lavoro, che nel corso degli anni l’aveva destinata di battutacce volgari e di lodi sperticate orientate sessualmente, che lei non apprezzava.
Per la prima volta, in un tribunale almeno, ci si è trovati di fronte ad un particolare caso di: molestie sessuali verbali. La sentenza fu molta incisiva e così recitava: Al datore di lavoro infatti, non può riconoscersi la libertà di trattare le sue dipendenti con esagerata confidenza – come se fossero delle sue amiche, abituate e disposte ad ascoltare i suoi commenti, allusioni o battute di contenuto sessuale, senza provare il minimo disagio o turbamento- perché la reiterazione di tale condotta, non desiderata né richiesta, finisce per diventare fastidiosa, insopportabile e quindi molesta.
Secondo gli esperti questa sentenza ha meritato l’appellativo di: storica, in quanto ha assunto un’interpretazione nuova, orientata alla: tolleranza zero verso le molestie sessuali. Addirittura, anticipando la recente Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) 190/2019 recepita in Italia nel gennaio 2021, che a livello internazionale orienta i principi ed i criteri per l’eliminazione totale della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro.
Le Convenzioni sono trattati internazionali da sottoporre alla ratifica degli Stati membri. Le dolenti note per il molestatore di turno sono state ancora più drastiche. La sentenza ha stabilito, infatti, un risarcimento per la vittima pari a 105.275mila euro non solo per danni patrimoniali e non, subiti dalla vittima ma anche per la particolare, odiosa, lesività della condotta, tale da rendere l’ambiente di lavoro ostile, degradante, umiliante o offensivo, come recita il testo di condanna.
In poche parole è stato riconosciuto il risarcimento non solo come compensazione del danno arrecato, ma anche come atto sanzionatorio-punitivo.
E’ senza dubbio, una sentenza che fa giurisprudenza, come sono soliti dire gli esperti del diritto. Ma è anche innovativa, in quanto inquadra le molestie verbali verso le donne come ignominie e offese della dignità della persona nei suoi valori più intimi.
Ultimamente hanno destato scalpore le avances volgari degli alpini durante il loro raduno a Rimini nel maggio scorso verso le ragazze del posto. C’è ancora chi definisce queste… esibizioni goliardiche che lasciano il tempo che trovano.
E’ rozzezza culturale allo stato puro, oltre che mancanza di rispetto. Un po’ di soldini come risarcimento farebbero passare loro la voglia di fare i gradassi. Anche perché se aspettiamo fiduciosi un cambiamento dei modelli culturali, campa cavallo!