La Corte demolisce l’inchiesta: tutti assolti. Non c’è giustizia per Serena Mollicone

Per i giudici d’appello l’indagine è “evanescente” e le prove “insufficienti e contraddittorie”. Resta una domanda sospesa: “Chi ha ucciso la giovane di Arce”?

ARCE (Frosinone) – “Fondamenti instabili” scrivono i giudici della Corte d’Appello di Roma in merito all’inchiesta esperita dalla Procura generale, e su questi elementi si sarebbe basata la precedente condanna della famiglia Mottola per la morte di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001. Per questo motivo Franco Mottola, il figlio Marco, la moglie Annamaria, oltre ai carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, sono stati assolti. “Il giudizio non può e non deve fondarsi sui sondaggi e gli umori popolari”, si legge nella sentenza. Una scelta obbligata quella del collegio giudicante capitolino che non ha potuto esprimere un verdetto di colpevolezza per mancanza di prove consistenti. Insomma punto e a capo per quanto riguarda il delitto della studentessa diciottenne che, a distanza di 23 anni, non ha avuto giustizia.

Il 12 ottobre scorso sono state depositate le motivazioni della sentenza di luglio che ha visto prosciolti tutti e cinque gli imputati, accusati a vario titolo della morte della ragazza. Nel documento di 53 pagine i magistrati snocciolano tutte le loro perplessità sulle indagini espletate dagli inquirenti di Cassino, in primis sulla presenza di Serena all’interno della stazione dei carabinieri di Arce in quel maledetto venerdì 1 giugno 2001. Stessa cosa per la presunta aggressione alla ragazza che, secondo i giudici, non sarebbe stata scagliata contro la porta del bagno dell’alloggio non occupato. Sulla stessa linea grandi dubbi si sono appalesati, sempre per i giudici romani, in merito alla seconda parte dell’aggressione quando la vittima sarebbe stata imbavagliata dunque uccisa per asfissia all’interno dello stabile militare.

Questi sono stati i presupposti cardine che hanno demolito il cospicuo castello accusatorio a cui sono seguiti altri elementi lacunosi di un’indagine definita “evanescente” a fronte di un movente che sarebbe risultato nient’altro che “un compendio probatorio insufficiente e contradditorio”. I cinque imputati, dopo il proscioglimento da parte della Corte d’Assise di Cassino, non potevano essere condannati in appello perché, come si legge in atti, ”questa Corte ritiene di non avere le prove della colpevolezza degli odierni imputati, e sa che una sentenza di colpevolezza sarebbe costruita su fondamenta instabili’. Ma c’è di più: la Corte d’Assise e d’Appello aveva accolto la richiesta della Procura di Cassino per svolgere una rinnovazione dibattimentale e, nonostante il collegio giudicante avesse “largheggiato”, così come si legge nelle motivazioni, ha dovuto constatare come sia rimasto immutato il quadro probatorio”.

La lettura della sentenza nel luglio scorso

L’inchiesta, praticamente smantellata in ogni sua parte, sarebbe stata invalidata da “l’incertezza e la contraddittorietà degli elementi disponibili per affermare la responsabilità degli imputati”. La Corte d’Assise rincara la dose quando sostiene che “Nel corso dei lunghi anni trascorsi dopo la morte di Serena, si è progressivamente radicata in larga parte dell’opinione pubblica la convinzione della responsabilità degli imputati. Ma il convincimento del giudice non può e non deve fondarsi sui sondaggi o sugli umori popolari”.

La famiglia Mollicone e la famiglia Tuzi, ovvero i parenti del brigadiere Santino, morto suicida nell’aprile 2008 alla vigilia di un nuovo interrogatorio davanti ai Pm di Cassino per confermare di aver visto Serena entrare la mattina del 1 giugno 2001 nella caserma di Arce dove prestava servizio come piantone, hanno manifestato amarezza e delusione. Al contrario dello staff difensivo della famiglia Mottola che ha esultato per il secondo proscioglimento:

La famiglia Mottola era già stata assolta una prima volta

“Le motivazioni della sentenza d’appello riconoscono la nullità, l’inconsistenza e la totale incertezza dell’impianto accusatorio – ha detto Carmelo Lavorino in qualità di portavoce della difesa – e di fatto danno pienamente ragione al lavoro delle difese sia alle nostre fortissime e giuste critiche all’impianto accusatorio ed alla metodologia delle indagini, sia al nostro lavoro del tipo analitico, logico-investigativo, forense, criminalistico, criminologico e di diritto. Serena non è entrata in caserma per andare da Marco Mottola, la porta non è l’arma del delitto, contro gli imputati vi sono stati sospetti basati sul nulla, indizi che si sono sciolti come neve al sole”.

E’ quasi scontato che il procuratore generale Francesco Piantoni ricorra in Cassazione. Chi ha ucciso Serena Mollicone?

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