La Cassazione sui migranti: “La valutazione dei Paesi sicuri spetta ai ministri”

Dopo la querelle sul caso Albania si apre un nuovo capitolo sul braccio di ferro governo-magistratura sul rimpatrio degli immigrati.

Roma – Si apre un nuovo capitolo sul braccio di ferro del governo con la magistratura sul rimpatrio dei migranti e i Paesi Sicuri. Una querelle che ha tenuto banco per mesi, dopo il caso Albania e le varie pronunce dei giudici. Ora la Cassazione stabilisce che sulla definizione di paesi sicuri “il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto”. Lo scrivono i giudici della prima sezione Civile in una “ordinanza interlocutoria” in merito ai ricorsi presentati dal governo contro le prime mancate convalide del trattenimento di migranti in Albania emesse dalla sezione immigrazione del tribunale di Roma il 18 ottobre scorso. 

La Cassazione, accogliendo la richiesta della Procura generale, in tema di definizione di Paesi sicuri, ha “sospeso ogni provvedimento” in attesa che si pronunci la Corte di Giustizia dell’Unione europea.  “Al dialogo tra giurisdizioni la Corte di Cassazione partecipa offrendo, nello spirito di leale cooperazione – si legge nell’atto di 35 pagine – la propria ipotesi di lavoro, senza tuttavia tradurla né in decisione del ricorso né in principio di diritto suscettibile di orientare le future applicazioni”. Il 25 febbraio prossimo infatti la Corte di giustizia dell’Unione europea sarà chiamata a decidere in merito alla questione dei Paesi sicuri.

E comunque – si spiega ancora nel documento della Suprema corte, di 35 pagine – la pronuncia della corte di giustizia Ue, del 4 ottobre scorso, in tema di Paesi sicuri, “si occupa esclusivamente delle eccezioni territoriali, chiarendo che l’esistenza di aree interne di conflitto e violenza indiscriminata è incompatibile con la designazione di un paese terzo come sicuro”. In particolare la Cassazione afferma che “le eccezioni per categorie di persone non hanno formato specifico oggetto della decisione della Corte di giustizia europea e non sono state esaminate dalla Corte quanto alla loro incidenza”.

Infine, dalla pronuncia della Ue “non sembrerebbe trarsi – si legge – come implicito corollario, l’esclusione della compatibilità con la nozione di paese sicuro, altresì, delle eccezioni personali, là dove, cioè, l’insicurezza riguardi le categorie di persone”. Sul punto la Cassazione aggiunge che “non parrebbe esservi spazio, in altri termini, per alcun automatismo di ricaduta, nel senso che l’indicazione, nella scheda-paese, di una categoria di persone insicura sarebbe destinata a travolgere la complessiva designazione di sicurezza dell’intero paese”.

“Oggi la Cassazione ha depositato le motivazioni su uno dei provvedimenti di mancato trattenimento in Albania. E guarda caso queste motivazioni confermano integralmente quanto diciamo dal primo momento: spetta agli Stati membri la designazione dei Paesi sicuri”, afferma la deputata di Fratelli d’Italia, Sara Kelany, responsabile del Dipartimento immigrazione di FdI. “Ricordo uno scambio pubblico con la presidente Boldrini sul punto: io affermavo che la sentenza della Corte di giustizia europea non smontasse assolutamente il nostro impianto, perché si riferiva unicamente all’individuazione di porzioni di territorio, la Presidente Boldrini affermava il contrario. Oggi la Suprema Corte dà ragione al governo Meloni”, aggiunge.

“Gli Stati indicano i Paesi sicuri e i giudici decidono i casi concreti sulla base delle circostanze oggettive e personali che i singoli migranti allegano per chiedere la protezione internazionale. Non poteva che essere così, – conclude Kelany – a rischio di rendere totalmente inapplicabili le stesse direttive europee, che questo governo, nel porre in essere le modifiche normative, ha pienamente rispettato. Si avrà oggi il coraggio di ammettere che le decisioni di alcuni magistrati italiani sono state frutto di preconcetti ideologici e sostanzialmente dei manifesti politici contro le politiche migratorie del governo?”.

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