La beffa di un ergastolo che finisce dopo 13 anni: “L’assassino dei miei figli ora respira la mia stessa aria”

Giovanni Palummieri ha scoperto per caso che Riccardo Bianchi, condannato per il duplice omicidio dei suoi due figli, Ilaria e Gianluca, esce ogni giorno dal carcere di Bollate per lavorare. La famiglia delle vittime non era stata avvisata.

Milano – La tazzina del caffè trema tra le mani di Giovanni Palummieri. Seduto al suo tavolo abituale nel bar del Gratosoglio, questo padre distrutto dal dolore non riesce a smettere di pensare che forse, proprio in questo locale, potrebbe aver bevuto anche l’uomo che gli ha sterminato la famiglia. “È assurdo ma è la realtà”, sussurra con gli occhi fissi nel vuoto.

Quattordici anni sono passati da quel maledetto giugno 2011, quando Riccardo Bianchi trasformò la vita dei Palummieri in un inferno senza fine. L’ergastolo sembrava aver sigillato per sempre quella tragedia. Invece no: dal 2024, l’assassino dei suoi due figli esce regolarmente dal penitenziario di Bollate con permessi lavorativi quotidiani.

Il massacro pianificato nei minimi dettagli

Era il 15 giugno 2011 quando Bianchi, appena ventunenne e già consumato dall’ossessione per l’ex fidanzata Ilaria, mise in atto il suo piano di morte. La relazione era finita da tempo ma lui non aveva accettato la rottura. Quella notte si appostò sotto casa di Gianluca Palummieri, il fratello ventenne di Ilaria, aspettando il momento giusto per colpire.

L’agguato avvenne a Cesano Boscone, in strada. Bianchi aggredì il ragazzo alle spalle, accoltellandolo con ferocia inaudita. I colpi furono trentadue, inferti con due coltelli diversi che l’assassino aveva portato con sé. Gianluca cercò di difendersi, di scappare ma il killer lo inseguì implacabile. Il giovane morì dissanguato sull’asfalto, mentre Riccardo gli frugava nelle tasche per rubargli le chiavi dell’appartamento di via Gozzoli.

Ilaria e Gianluca Palummieri
Ilaria e Gianluca Palummieri

Durante l’aggressione, Bianchi si ferì a una mano ma questo non lo fermò. Caricò il corpo senza vita di Gianluca nel bagagliaio della sua auto e si diresse verso casa della sua vera vittima: Ilaria.

Quattordici ore di tortura

Quello che accadde nell’appartamento di via Gozzoli rappresenta una delle pagine più oscure della cronaca nera milanese. Erano circa le 3 del mattino quando Riccardo entrò in casa usando le chiavi del fratello. Ilaria dormiva nella sua cameretta. La svegliò e, con sadica crudeltà, le annunciò: “Ho appena ammazzato Gianluca. Ora tocca a te”.

La ragazza venne immediatamente immobilizzata. Bianchi aveva portato con sé delle corde e del nastro adesivo, confermando un piano studiato nei minimi dettagli. La legò al letto e iniziò il suo calvario di violenze. Per quasi quattordici ore consecutive, Ilaria subì stupri ripetuti, percosse, umiliazioni di ogni tipo. L’assassino si accanì su di lei con una brutalità disumana, interrompendosi solo per mangiare qualcosa e per medicarsi la ferita alla mano.

I vicini di casa udirono distintamente le urla disperate della ragazza. Testimoni raccontarono poi agli inquirenti di aver sentito “grida strazianti che gelarono il sangue”, ma incredibilmente nessuno chiamò le forze dell’ordine. Qualcuno pensò a una lite familiare, altri preferirono non immischiarsi. Quell’indifferenza condannò Ilaria a morire in solitudine.

Ilaria Palummieri

Verso le 17 del pomeriggio, quando Bianchi si stancò del suo gioco sadico, decise di chiudere i conti. Prese un sacchetto di plastica dalla cucina e lo infilò sulla testa di Ilaria, tenendolo stretto intorno al collo fino a soffocarla. La ragazza morì per asfissia dopo una lunga agonia.

Il corpo nel cassonetto

Dopo aver ucciso anche Ilaria, Riccardo si prese il tempo per ripulire le propria ferite e pianificare la fuga. Tornò dove aveva lasciato il corpo di Gianluca, lo avvolse in un copriletto preso dall’appartamento e lo trasportò fino a Rho. Lì, con disprezzo assoluto, gettò il cadavere del ventenne in un cassonetto dell’immondizia, come un rifiuto qualunque.

“Mio figlio buttato via come spazzatura”, ripete ancora oggi Giovanni Palummieri, le parole strozzate in gola. “E adesso quell’animale passeggia per Milano come se niente fosse successo”.

Il giorno successivo al duplice omicidio, accompagnato dai genitori, Bianchi si presentò spontaneamente al commissariato Bonola. Iniziò a confessare in modo frammentario e confuso, senza mai spiegare chiaramente le ragioni del suo gesto. Il pubblico ministero Cecilia Vassena lo interrogò per quasi sei ore, durante le quali emerse un quadro di totale mancanza di pentimento.

La beffa dell’ergastolo “temporaneo”

Il processo si concluse nel 2011 con la condanna all’ergastolo tramite rito abbreviato. La sentenza fu confermata sia in Appello che in Cassazione. Sembrava fatta giustizia, ma la normativa italiana nasconde una trappola: dopo dieci anni di reclusione, anche gli ergastolani possono accedere ai benefici penitenziari, purché non siano stati condannati per reati “ostativi” come mafia o terrorismo.

Il femminicidio, per quanto efferato, non rientra in questa categoria. Così, nel 2024, a soli 35 anni, Riccardo Bianchi ha ottenuto il permesso di lavoro esterno. Esce ogni mattina dal carcere di Bollate, trascorre la giornata in libertà e nei weekend può persino dormire a casa del padre.

La famiglia Palummieri non è mai stata informata ufficialmente di questa decisione. Giovanni ha scoperto tutto per caso, attraverso conoscenti che avevano visto l’assassino in giro per Milano. “Mia moglie Alessia lo sapeva già da mesi ma non ha mai avuto il coraggio di dirmelo. Nemmeno sul letto di morte, perché conosceva la mia fragilità”.

Le falle del sistema

Il caso Bianchi si inserisce in una serie di decisioni controverse del Tribunale di Sorveglianza di Milano, finite recentemente sotto i riflettori per il caso di Emanuele De Maria, altro femminicida che ha ottenuto benefici simili per poi uccidere nuovamente prima di suicidarsi.

Emanuele De Maria

“Non riesco a capacitarmi”, si sfoga Giovanni Palummieri. “Come fanno a dire che non è più pericoloso? Su che base? Ha mai chiesto scusa? Ha mai dimostrato un briciolo di pentimento? E soprattutto, perché nessuno ha pensato di avvertire noi, che siamo stati distrutti dalle sue mani?”

Il padre delle vittime si interroga anche sulla sensibilità di chi ha firmato quell’autorizzazione: “Vorrei guardare negli occhi il giudice che ha deciso. Vorrei chiedergli se ha dei figli e se al posto dei miei ci fossero stati i suoi, avrebbe avuto la stessa generosità”.

Oggi, mentre Riccardo Bianchi si gode la sua “seconda possibilità”, Ilaria e Gianluca rimangono sepolti nel cimitero di Milano. Non vedranno mai più un tramonto, non conosceranno l’amore, non realizzeranno i loro sogni. E Giovanni Palummieri continua a vivere nell’incubo quotidiano di poter incontrare per strada l’uomo che gli ha distrutto l’esistenza.

“Gli avevo urlato in aula: ‘Ci vediamo all’inferno'”, conclude il padre spezzato dal dolore. “Non sapevo che l’inferno sarebbe stato qui, per le strade di Milano, con lui libero e noi ancora prigionieri di quel giugno del 2011”.

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