Sembra proprio che l’ordine sia un elemento indispensabile alla creazione e al mantenimento di ogni società, a tal punto da indurre i membri di quest’ultima a rinunciare ad una porzione della propria libertà, pur di vivere in un contesto ordinato
Il fascino della parola Kosmos consiste nel fatto che presenta il vantaggio di corrispondere solo in minima parte al suo derivato italiano (cosmo), che copre un’area semantica circoscritta rispetto alla gamma di significati che il termine greco riassume in sé. Fondamentalmente Kosmos è “ordine”. E subito si propone una riflessione sulla portata e sul valore di questo concetto: in particolare, per esempio, l’aspetto relativo alla vita associata. Sembra proprio che l’ordine sia un elemento indispensabile alla creazione e al mantenimento di ogni società, a tal punto da indurre i membri di quest’ultima a rinunciare ad una porzione della propria libertà, pur di vivere in un contesto ordinato ossia al riparo da quegli elementi perturbanti e disgreganti che, nella loro peggiore forma, possono sconfinare nella violenza.
Esiste una contraddizione: per assicurare il Kosmos sociale si è dovuto delegare a qualcuno la facoltà di impiegare una necessaria forma di coercizione, limitata, regolamentata, controllata, che, sola, può contrastare quell’arbitrarietà individuale che rischia di diventare devastante per la sussistenza sociale. Questa coercizione “benefica” è esercitata, in senso astratto, dalle leggi e in senso concreto dalle forze, appunto, dell’”ordine” che hanno il compito di assicurare il rispetto delle leggi. Però, ironia della sorte, siccome le leggi variano da paese a paese e da epoca ad epoca, l’ordine da esse garantito in un certo contesto ed in un determinato periodo storico equivale ad un disordine. Il Kosmos è dunque un dato relativo, soggetto a valutazioni differenti, senza contare il fatto che, anche nel medesimo ambito spaziale-temporale, l’ordine vigente è più o meno apprezzato dai diversi individui a seconda dei vantaggi (o degli svantaggi) che ne ricevono.
Un’altra accezione del termine Kosmos è quella che si riferisce all’armonia, alla compostezza interiore dell’individuo. Nell’animo di ciascuno di noi convivono in perenne conflitto forze contrastanti: siamo continuamente contesi tra il desiderio di concedere libero sfogo alle pulsioni che ci permettono un immediato piacere e la necessità di disciplinare, in qualche misura, queste pulsioni, sia per evitare i rischi che esse comportano, sia per ricercare quella serenità in cui spesso ci sembra che consista la massima felicità possibile, un’armonia, un Kosmos delle passioni. A questo proposito, il suggerimento più valido espresso sinora è quello di Epicuro (ovvero per noi Lucrezio e Orazio): cogliere con gratitudine (grata manu) le occasioni di piacere che la vita ci offre, ma con quella moderazione che conduce alla meta della felicità concessa all’uomo: l’atarassia, l’assenza di turbamenti, l’equilibrio interiore, il Kosmos appunto.
E’ interessante notare come, in questo caso, il Kosmos sia definito in negativo, come mancanza di dolore, piuttosto che come soddisfazione del desiderio di piacere, il che equivale ad identificare nel piacere la possibilità del “disordine”, dell’affanno, dell’inquietudine, e ognuno può preferire, a seconda della propria sensibilità, i rischi connessi ad un ampio assecondamento del desiderio di piacere – un movimentato disordine, oppure la quiete dell’animo – oppure un ordine che può apparire monotono, insipido.
Accanto al Kosmos interiore, c’è quello che aspira a disciplinare il nostro comportamento quotidiano: tenere in ordine le proprie cose, la casa, il luogo dove si gioca, si studia, si lavora. E’ uno dei primi imperativi che il bambino riceve: “un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto” è la norma da osservare per condurre una vita lineare, immune dalla confusione e dall’incertezza che comportano perdita di tempo e diminuita efficienza, oltre ad offendere il senso estetico di chi osserva i luoghi in cui viviamo. Ma anche in questo caso, ecco l’ambivalenza del termine Kosmos: è innegabile che spesso l’amore per l’ordine tende ad inibire ogni scarto, ogni deviazione e ad irrigidirsi in un’autodisciplina ferrea di cui avvertiamo il fastidio senza riuscire a scalfirla ed allora occorre apprezzare la bellezza del “fuori posto”, che giunge ad affermare proprio quelle regole che costantemente rispettiamo. In caso contrario l’ordine finirebbe per imporre alla nostra vita la quiete vigilata di un museo o quella spenta e definitiva dei sepolcri.
In italiano Kosmos è rimasto nell’accezione astronomica e designa l’universo proprio con quella spiccata connotazione di ordine, di costruzione armoniosa e razionalmente leggibile che la divinità ha ricavato dal Caos primordiale, o cui la più modesta scienza umana ha assegnato i propri schemi mentali così, contemplando o presumendo l’infinità dell’universo, il temperamento mistico può lasciarsi rapire dall’ammirazione commossa per l’opera divina, mentre uno spirito razionalista ne trae argomento per esaltare la forza e la pazienza dell’intelletto umano. Ed infine la “cosmesi” l’arte, da sempre esistente, di abbellire le proprie sembianze. Non si sottovaluti questa versione del Kosmos: essa obbedisce, in fondo, alla stessa esigenza di ordine e di armonia che abbiamo riscontrato nelle altre accezioni. Infatti da una parte l’intervento cosmetico sul proprio corpo è indice di incapacità di accettare il proprio aspetto fisico per quello che è, forse di civetteria, dall’altro testimonia la preoccupazione di offrire alla percezione altrui una sensazione gradevole, è rispetto del prossimo, che può manifestarsi anche in questa forma ingannevole ed innocente, visto che la contraffazione è nota ed accettata da coloro cui la dedichiamo.
Dunque Kosmos come termine di ampio spazio semantico che proietta le sue contraddizioni nella nostra vita quotidiana e che a buon diritto può essere accolta in questa terza pagina.
m.r.