Investigatore di razza originario di Salerno, fece carriera a New York. Approdò a Palermo in segreto per raccogliere prove contro i mafiosi, ma la sera del 12 marzo 1909 venne ucciso da due sicari in piazza Marina.
Palermo – Agli inizi del Novecento la miseria italiana acuita dalla riunificazione del Regno e dalla dura repressione delle rivolte popolari al Sud, impone a milioni di meridionali la strada dell’emigrazione. Oltre un milione di siciliani salpa verso gli Stati Uniti, senza per questo sottrarsi al laccio dell’onorata società che ancora non si chiama Cosa Nostra, ma che Oltreoceano ha già messo radici, offrendo la sua interessata protezione ad una massa di diseredati in duplice posizione di sudditanza, schiavi della povertà e del forzato trasferimento in una realtà nuova e spaesante.
E’ la mafia di “bruccolino” (Brooklyn), quella al contempo paternalistica e spietata de “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, che vive sul pizzo imposto ai connazionali e su qualsiasi traffico illecito possa rendere dollari facili. Ma non tutti i siculo-americani si piegano al ricatto, molti infatti finanziano volontariamente una task force nata in gran segreto all’interno della polizia di New York. La comanda un poliziotto italoamericano, Joe Petrosino, nato a Padula in provincia di Salerno ed emigrato con la famiglia negli States dove è cresciuto.
A differenza dei colleghi americani conosce la lingua del ghetto italiano e per la malavita del racket, raccolta nella misteriosa associazione detta “la Mano Nera”, diventa un pericolo. Investigatore di razza, Petrosino raccoglie informazioni dagli italiani vessati e comincia ad assestare colpi micidiali ai picciotti d’esportazione: ne finiscono in guardina a centinaia, mentre Joe si conquista una promozione dietro l’altra. Quando è già tenente e ormai un investigatore di mezza età, comprende che gli equilibri criminali “a stelle e strisce” sono ancora dettati dalla madrepatria e si trasforma in agente segreto.
Sbarca a Palermo nel febbraio del 1909, gonfio di dollari – lo finanziano i banchieri Rockefeller e J.P. Morgan, molto preoccupati da un vasto spaccio di dollari falsi gestito dai siciliani – e buone intenzioni, la prima delle quali è di muoversi da solo e in incognito. Peccato che un giornale newyorkese abbia pubblicato la notizia della sua partenza. Ma Petrosino non indietreggia, resta convinto che a Palermo come a New York la malavita non abbia la forza di uccidere un poliziotto.
Nel capoluogo siciliano l’investigatore sembra muoversi a suo agio negli ambienti delle coppole storte. Spende con prodigalità e raccoglie informazioni preziose, di giorno consulta senza sosta i casellari giudiziari e a fine giornata torna all’Hotel de France in piazza Marina. Una sera il cameriere lo avverte che due signori chiedono di lui. Petrosino li segue fuori dall’albergo e viene colpito da tre colpi di rivoltella mentre cammina lungo la cancellata del parco. Muore sul selciato dopo un quarto colpo alla testa. Il cadavere di Joe Petrosino sfilerà sulla Quinta Strada per i più imponenti funerali che New York abbia mai visto. 250 mila persone, interi reparti di polizia a passo di marcia funebre dietro la bara del primo italiano ad aver conquistato il distintivo della polizia della città.
In Sicilia, intanto, la polizia indaga ma non cava un ragno dal buco. Tutte le attenzioni investigative si appuntano su Vito Cascio Ferro, malavitoso di successo – secondo alcuni sarebbe da considerarsi addirittura il fondatore della mafia siciliana – al quale viene trovata nel portafogli la foto di Petrosino. E’ stato lui a sparare in piazza Marina? Tutto lo fa pensare, ma don Vito è provvisto di un alibi robusto, confezionato addirittura da un deputato, pronto a giurare che quella sera il boss era rimasto a cena da lui. E agli investigatori sciorina pure il menù della serata. Vito Cascio Ferro evita il carcere, non potrà però sottrarsi al ciclone scatenato nel 1926 dal “prefetto di ferro” del Duce, Cesare Mori, che lo obbligherà ad una lunga residenza nelle patrie galere, dove troverà la morte nel ’43 sotto le bombe alleate.