Inventavano blitz e inseguimenti per fare carriera: sette agenti sotto inchiesta

Le accuse vanno dalla falsificazione di atti alle perquisizioni illegali. Per i pm, i poliziotti cercavano solo visibilità e riconoscimenti interni.

Milano – Operazioni costruite dal nulla, soffiate inesistenti e fughe mai avvenute. Secondo l’ipotesi investigativa della Procura milanese, sette appartenenti alle forze dell’ordine del capoluogo lombardo avrebbero orchestrato interventi polizieschi completamente artefatti con il solo obiettivo di accrescere il proprio prestigio professionale e raccogliere encomi.

Gli agenti, tutti operativi nelle auto di pattuglia cittadine, rispondono ora di falsificazione documentale e controlli domiciliari abusivi. Come riferisce il quotidiano milanese del Corriere, due hanno ricevuto destinazioni in altre province italiane, mentre i rimanenti cinque svolgono attualmente compiti amministrativi lontani dall’operatività sul territorio.

L’inchiesta condotta dal capo della Procura Marcello Viola e dal sostituto Francesca Celle prende avvio da una protesta formale depositata ad agosto da un cittadino sottoposto a fermo nel rione di Quarto Oggiaro per presunta detenzione abusiva di armi. La documentazione stilata dai poliziotti parlava di un’iniziativa autonoma degli operatori, motivata da una confidenza anonima relativa alla custodia di una pistola nell’immobile. L’individuo, stando al resoconto ufficiale, sarebbe stato intercettato proprio mentre cercava di impossessarsi dell’arma nascosta.

Gli approfondimenti investigativi hanno tuttavia rivelato una realtà completamente differente. L’oggetto rinvenuto consisteva in realtà in un vecchio pezzo d’antiquariato bellico totalmente innocuo. Il provvedimento restrittivo è stato revocato in tempi rapidissimi. Da qui la scelta dell’interessato di rivolgersi alla magistratura contro i responsabili dell’operazione.

Questa contestazione ha fatto tornare alla luce un secondo caso dubbio, verificatosi il 4 novembre dell’anno passato lungo via Ricciarelli, nel comprensorio di San Siro. Pure in quella circostanza, i medesimi operatori avevano descritto un intervento d’emergenza scaturito da un’informativa su un’unità abitativa dove si trovavano gioielli di provenienza illecita. La relazione ufficiale dipingeva una sequenza cinematografica: un soggetto controllato avrebbe scagliato lontano un contenitore con narcotici prima di essere immobilizzato, mentre contemporaneamente la partner tentava freneticamente di far sparire gli oggetti rubati tra le mura domestiche. Un racconto spettacolare. Salvo che, per l’accusa, totalmente fantasioso.

I detective della Mobile, impegnati da tempo in una sorveglianza discreta dell’edificio nell’ambito di un’operazione più complessa contro il traffico di refurtiva, hanno visionato attentamente i filmati di sorveglianza. Le riprese hanno dimostrato inequivocabilmente l’inesistenza di qualunque corsa o tallonamento. Gli uniformati avevano raggiunto direttamente l’appartamento target, evidenziando una preconoscenza esatta del luogo da ispezionare.

Nella lettura dei pubblici ministeri, questi comportamenti non deriverebbero da finalità lucrative illecite né da dinamiche di corruzione, ma unicamente dall’ambizione di conquistare credibilità professionale e plausi dai superiori. I sette poliziotti, che durante il periodo in questione prestavano servizio presso la struttura della Prevenzione generale o risultavano temporaneamente aggregati alle pattuglie veloci, hanno risposto alle domande degli inquirenti recentemente. Una coppia di loro ha affermato di avere soltanto sottoscritto la documentazione, restando estranea all’esecuzione materiale degli interventi. I restanti cinque si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.