Due vite interrotte bruscamente, due famiglie condannate a un’attesa infinita. Archiviato il caso delle “Buranelle”.
Burano – Una domenica d’autunno del 1991, due giovani donne salgono su un vaporetto a Burano dirette al cinema. Non torneranno mai più a casa. Rosalia Molin, 21 anni, e sua zia Paola Costantini, 25 anni, entrano nella storia della cronaca nera italiana come “le Buranelle”, un soprannome che nasconde uno dei cold case più inquietanti del nostro Paese.
L’itinerario è semplice: traghetto fino a Treporti, poi l’auto di Rosalia per raggiungere Jesolo. Con loro c’è anche il fratello minore di Rosalia, diretto nella pizzeria di Ca Savio, dove lavora. Ma qualcosa va storto già all’arrivo. La loro vettura, una piccola Fiat 126, è stata deliberatamente danneggiata. Qualcuno ha manomesso una ruota, lasciando le ragazze in difficoltà in un parcheggio, di sera, senza modo di proseguire.
La coincidenza successiva appare troppo perfetta per essere casuale. Proprio mentre le due donne cercano di capire come risolvere il problema, si materializza Nicola Alessandro, l’uomo che Rosalia ha allontanato dalla sua vita mesi prima. Un trentenne dalla personalità dominante, con un’incapacità evidente di accettare la fine della relazione. Non è solo: lo accompagna un conoscente. I due viaggiano a bordo di un’auto celeste.

Le ragazze declinano ogni assistenza da parte dei due uomini. Secondo le ricostruzioni, trovano un taxi che le porta verso la loro destinazione. Ma qualcosa deve accadere lungo quella strada, perché da quel momento Rosalia e Paola svaniscono completamente. Nessuna telefonata, nessun contatto con i familiari, nessuna traccia.
Il fratello di Rosalia, che ha accettato il passaggio, quando torna al porto incontra nuovamente Alessandro. Un dettaglio lo colpisce: l’uomo non indossa più gli stessi abiti.
Le indagini si trascinano per trent’anni, oscillando tra speranze e frustrazioni. Nel 1997, la laguna restituisce la patente di Paola, unico oggetto mai ritrovato. Per anni si cerca ovunque: nel mare, nei canali, persino seguendo deliranti segnalazioni che le vogliono vive e affiliate a misteriose sette.
Ma la svolta più inquietante arriva nel 2014. Diverse persone, tutte con trascorsi criminali o legami con le forze dell’ordine, riferiscono la stessa versione: le due donne sarebbero state sequestrate e portate in un’area militare a Punta Sabbioni. Lì sarebbe avvenuta la tragedia durante un’aggressione sessuale di gruppo. Un colpo di pistola accidentale avrebbe ucciso una delle due, rendendo necessario eliminare anche l’altra testimone. I corpi sarebbero stati nascosti sotto il cemento di un edificio in fase di realizzazione.
Una donna, inquilina nello stesso stabile dove vive Alessandro, fornisce dichiarazioni impossibili da ignorare. Sostiene di aver riconosciuto Rosalia nell’auto celeste quella sera, poco dopo le venti. Due ore più tardi, avrebbe visto Paola inseguita da Alessandro sulle scale del palazzo. E c’è un altro elemento: tra gli oggetti personali dell’ex fidanzato viene rinvenuto esattamente un tipo di attrezzo compatibile con il sabotaggio dell’automobile.

Nonostante questi indizi, ogni tentativo di provare la colpevolezza si infrange contro l’assenza dei corpi e la fragilità delle testimonianze. Gli scavi nell’area militare, condotti con tecnologie avanzate, non portano a nulla. Le analisi su alcuni indumenti di Alessandro rivelano residui di esplosivo, ma la difesa sostiene si tratti di contaminazione fortuita.
Nel 2021, dopo innumerevoli riaperture del fascicolo, la magistratura veneziana chiude definitivamente le indagini. Il procuratore aggiunto Adelchi d’Ippolito deve ammettere che, nonostante gli sforzi, non esistono prove sufficienti per un processo. La giudice Marta Paccagnella convalida la decisione, riconoscendo che il tempo ha cancellato troppe tracce.
L’avvocato delle famiglie, Roberto Continisio, non nasconde l’amarezza: se questi eventi fossero accaduti oggi, con le moderne tecniche forensi e l’attenzione mediatica verso i crimini contro le donne, forse le cose sarebbero andate diversamente.
Resta un appello accorato a chi sa. Dopo tre decenni, eventuali reati collaterali come il favoreggiamento sono ormai prescritti. Chi ha visto qualcosa, chi ha coperto gli autori, chi ha sentito qualcosa: oggi può parlare senza conseguenze legali. L’unica eredità possibile sarebbe permettere a due famiglie di elaborare un lutto rimasto sospeso per trent’anni.
Nel frattempo, a Punta Sabbioni circolano leggende sui fantasmi di due ragazze che vagano nella notte. Storie che forse nascondono rimorsi mai sopiti, segreti che qualcuno porta ancora con sé. Perché la vera differenza tra un caso risolto e un mistero eterno sta spesso in una sola parola: quella che qualcuno sceglie di non pronunciare.