A quasi quattro anni dalla scomparsa di Pasquale Lombardi, che indicò alla famiglia i nomi dei suoi presunti carnefici, chi acquistò e fece fallire la sua azienda è finito in galera. C’è anche un boss del clan Bruzzaniti.
BESATE (Milano) – Dietro la scomparsa dell’imprenditore Pasquale Lamberti l’ombra della ‘ndrangheta. L’uomo, 70 anni, originario di Paderno Dugnano, titolare dell’Unione commerciale lombarda di Brescia, produttrice di integratori per mangimi destinati ai grossi allevamenti, era svanito nel nulla da Besate, nel Milanese, il 3 luglio 2021, dopo aver lasciato un messaggio nel suo cellulare in cui indicava cinque presunti responsabili della sua sparizione, probabilmente finita male. Dopo la denuncia dei familiari iniziavano anche le indagini che il 17 gennaio scorso, almeno in parte, hanno avuto il loro epilogo. Infatti sono stati colpiti da misura cautelare cinque persone. In carcere sono finiti Antonio Bruzzaniti, 69 anni, calabrese residente a Cambiago (Milano) e Claudio Mancini, 59 anni, di Campobasso, spesso dimorante nel capoluogo lombardo. Ai domiciliari sono finiti il commercialista Gabriele Abbiati, 51 anni di Seregno (Milano) e Fabio Bonasegale, 56 anni di Chiavenna (Sondrio) mentre per Domenico Carignano, 52 anni, broker originario di Taranto, è scattata l’interdittiva alle attività imprenditoriali per 12 mesi.
A questi personaggi seguono altri 4 indagati che dovranno rispondere, in solido, di bancarotta fraudolenta, indebita percezione di erogazioni pubbliche, malversazione, ricorso abusivo al credito e reati tributari. Sugli indagati è stato effettuato anche un sequestro del valore di 650mila euro ed un sequestro preventivo di almeno 2,5 milioni di euro, ovvero il valore, più o meno, delle floride aziende che facevano capo a Lamberti a cui sarebbero state cannibalizzate e poi svendute. Antonio Bruzzaniti, detto “’u Pazzu”, finito in galera, per gli inquirenti sarebbe un personaggio di spicco del clan ‘ndranghetista Morabito-Bruzzaniti-Palamara, che avrebbe messo le mani sul patrimonio del povero imprenditore. L’operazione, messa a segno dalla Guardia di Finanza e dai carabinieri di Brescia, coordinati dal Pm dell’antimafia Teodoro Catananti nell’ambito dell’inchiesta sulla sparizione di Lamberti, ha chiuso un cerchio importante per definire la penetrazione della criminalità organizzata calabrese sul territorio oltre a fornire particolari importanti sulla sorte dell’uomo dileguatosi in circostanze misteriose.
Alcuni degli odierni indagati avrebbero “acquisito, tramite una società svizzera, la proprietà di un’azienda bresciana operante nel settore zootecnico, depauperandola del proprio capitale e quindi determinando una procedura fallimentare – spiegano gli inquirenti – inoltre la medesima società avrebbe acquistato beni immobili destinati a persone legate da relazioni familiari, auto di lusso e acquisito disponibilità finanziarie su carte di credito prepagate rilasciate da una piattaforma finanziaria svizzera. Oltre ad aver dissipato il patrimonio della società, si sarebbero avvalsi di finanziamenti garantiti dallo Stato pari a oltre 1milione e 700mila euro ottenendo un anticipo di crediti commerciali presso istituti bancari originati da fatture per operazioni inesistenti, per un valore di circa 400mila euro”.
La Procura di Brescia aveva chiesto la misura cautelare anche per Leone Bruzzaniti, 65 anni, detto “Leo ‘o Niru”, originario di Africo, nel Reggino, nipote di Antonio Bruzzaniti, accusato di bancarotta fraudolenta solo per alcune distrazioni, ma il Gip Angela Corvi non ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari poiché l’uomo è già detenuto per altri reati. Insomma nell’inchiesta sull’imprenditore che diventa un fantasma dopo aver ceduto a metà prezzo una società che fatturava 7 milioni di euro e che fra gli altri messaggi scrive sul suo cellulare “La mia vita è in pericolo”, indicando come autori della sua scomparsa personaggi a lui vicini, è successo di tutto. Aziende svuotate, testamenti farlocchi, false fatturazioni e una montagna di soldi spesi dagli odierni indagati anche per farsi curare da bravi dentisti la dice lunga sulla probabile sorte dell’imprenditore di Besate. L’uomo infatti sparisce dalla circolazione il 3 luglio di quattro anni fa e l’unica traccia sarà il ritrovamento della sua auto, una Range Rover nera, chiusa e parcheggiata in piazza a Besate.
Il figlio acquisito dell’imprenditore, Pasquale Andrea, dopo gli inutili tentativi della madre Sonia di rintracciare il marito per tutta la mattinata, trova in casa un biglietto con lo stesso contenuto trascritto sul telefonino dell’imprenditore: ”Se leggete questo messaggio significa che io non sono tornato. Per la mia eventuale scomparsa i responsabili sono Gianni S., Salvatore detto il macellaio, dottor Mancini Claudio mio fratello?, dottoressa Anna B., dottor Abbiati Gabriele commercialista. Questi ultimi quattro detengono tutto il mio patrimonio, mobiliare ed immobiliare ed investimenti denaro per 3 milioni di euro. Vi voglio bene a tutti”.
Oggi sono iniziati gli interrogatori davanti al Gip Angela Corvi. Bruzzaniti detto “‘u Pazzu“, con precedenti per associazione mafiosa, traffico di droga e armi, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Con dichiarazioni spontanee l’uomo, difeso dall’avvocato Daria Schiavi, si è praticamente dichiarato innocente. Bruzzaniti era stato assunto nella società di Lamberti come assistente alle vendite, con tanto di lauto stipendio e auto aziendale. Per intercessione di Mancini fece assumere in Ucl 4 suoi parenti compreso Leone Bruzzaniti, con precedenti per omicidio, rapine e droga. L’indagato, difeso dall’avvocato Mario Monteverde, ha risposto alle domande del Gip raccontando la propria versione dei fatti.