Il libro di Brusca e la rabbia del fratello del piccolo Di Matteo: “Su di lui cali l’oblio”

Il 12enne, fu rapito il 23 novembre del 1993. Strangolato e sciolto nell’acido per punire il padre diventato collaboratore di giustizia.

Palermo – Giovanni Brusca nel suo libro uscito il 19 settembre racconta della sua “consapevolezza” di avere commesso una delle peggiori atrocità negli eccidi di mafia, l’uccisione e lo scioglimento nell’acido di Giuseppe Di Matteo, allora adolescente. “Mi sono chiesto tante volte cosa significa chiedere perdono per la morte del piccolo Di Matteo. Non lo so. Mi accusano spesso di non mostrare esternamente il mio pentimento, ma io so che per un omicidio come questo non c’è perdono”, dice Brusca nel libro “Uno così. Giovanni Brusca si racconta”. Ma era inevitabile che il fratello del piccolo Di Matteo rompesse il silenzio per criticare duramente l’uscita e la presentazione del libro dell’esponente di spicco di Cosa Nostra.

La rabbia, come il perdono, sono difficili da gestire. “Non bisogna dare più visibilità agli uomini di Cosa Nostra che hanno martoriato il territorio, bloccandone lo sviluppo e portando dolore e morte”, afferma Nicola Di Matteo. “Queste manifestazioni servono solo a riaprire ferite dolorose in quanti hanno perso i propri cari”, aggiunge. Il ragazzino, allora 12enne, venne strangolato e sciolto nell’acido dopo essere stato rapito il 23 novembre del 1993 su ordine di Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro e Leoluca Bagarella. Alla base del rapimento la scelta del padre, Santino Di Matteo, di collaborare con la giustizia.

Giovanni Brusca

Nicola Di Matteo non ci sta alle nuovi luci della ribalta per Brusca, che non ha mai mostrato per quell’omicidio e altri alcun pentimento: “Su questi personaggi deve calare l’oblio, il silenzio. Non devono avere più alcuna possibilità di potere parlare. Brusca non si è mai mostrato veramente pentito per tutto il male compiuto in quegli anni. Dare a lui una ribalta è solo un grave errore che porta in noi che abbiamo sofferto solo altro dolore”.

“Sono diventato un mostro per vendere l’anima a Cosa Nostra, perché credevo in Totò Riina, e poi scopro che voleva farmi fuori…, mi sono chiesto a cosa fosse servito fare tutto quello che avevo fatto per un uomo che io vedevo come fosse Dio in terra. è vero, Cosa Nostra scomparirà se i suoi capi resteranno senza eserciti“. Sono le parole di Brusca – l’uomo che il 23 maggio 1992 premette il telecomando che fece saltare in aria il giudice Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta – contenute nel libro-dialogo. Brusca si racconta in un lungo dialogo con don Marcello Cozzi, lucano, prete impegnato da decenni sul versante del disagio sociale, nell’educazione alla legalità, nel contrasto alle mafie e nell’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia. Un confronto dove non ci sono sconti sul passato di Brusca e la perdita di tante vittime innocenti, tra le quali il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta.

Il piccolo Giuseppe Di Matteo

Ma don Cozzi, da uomo di Chiesa, guarda anche alla sofferenza di ‘Caino’: “Mi porto la ferma convinzione che ‘uno così’ resta una persona, nonostante tutto, nonostante il male commesso, la morte procurata, il dolore profuso, perché – lo dico da subito – non intendo rassegnarmi all’idea che in fondo la prima vittima di un carnefice è lui stesso”, sottolinea l’ex vicepresidente di Libera. Ma il fratello del piccolo Di Matteo non è d’accordo sull’ultima uscita letteraria di qualcuno che ha provocato tanto dolore a lui e a tanti altri.

Nel libro Brusca riflette così sul suo passato, lui fedelissimo di Totò Riina, lui che il 23 maggio 1992 premette il telecomando causando la strage di Capaci. Ricorda anche di quando faceva il chierichetto e accompagnava il suo parroco per le benedizioni: “A un certo punto però anche quel legame con la parrocchia si interruppe”. Sul suo ultimo periodo racconta: “Mi colpì quando, uscendo dalla questura per essere portato in carcere, trovai fuori dal portone gente normale, gente onesta, che applaudiva ai poliziotti, urlava e mi gridava dietro cose irripetibili: mostro, bestia e altre cose simili. Ecco, per la prima volta toccavo con mano quello che realmente le persone pensavano di me – e confida – Quando finalmente ho preso coscienza del male che ho fatto, allora per me è stato come entrare in un incubo senza fine”.

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