Il lavoro non basta: aumenta in Italia la percentuale degli occupati in povertà

Secondo Eurostat, il dato sale dall’8.7 del 2023 al 9% del 2024. In maggiore difficoltà autonomi e giovani.

Roma – Nel 2024, l’Italia registra un aumento della povertà lavorativa, con il 9% dei lavoratori a tempo pieno che percepisce un reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali, in crescita dall’8,7% del 2023. Questo dato, emerso dalle tabelle Eurostat pubblicate il 27 aprile 2025, evidenzia una situazione più critica rispetto ad altri paesi europei, come la Germania (3,7%) e la Finlandia (2,2%), e leggermente migliore della Spagna (9,6%). La povertà lavorativa colpisce in modo particolare giovani, lavoratori indipendenti e persone con bassa istruzione, mentre anche i laureati vedono un aumento del rischio.

Per i lavoratori occupati per almeno la metà dell’anno, sia full-time che part-time, la quota di chi è a rischio povertà sale al 10,2%, in aumento dal 9,9% del 2023 (Post:4). Tuttavia, tra i lavoratori part-time, si registra un lieve miglioramento, con la percentuale di poveri che scende dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa è più marcata tra i lavoratori indipendenti, con il 17,2% che guadagna meno del 60% del reddito mediano nazionale, in netto aumento dal 15,8% del 2023. Tra i dipendenti, la quota è più contenuta, ma cresce comunque dall’8,3% all’8,4%. Questo divario riflette la maggiore precarietà e instabilità reddituale degli autonomi, spesso privi di tutele contrattuali.

I giovani (16-29 anni) sono tra i più colpiti, con l’11,8% degli occupati a rischio povertà, rispetto al 9,3% della fascia 55-64 anni. Questo dato sottolinea come i giovani, spesso impiegati in lavori precari o a bassa retribuzione, affrontino maggiori difficoltà economiche. La combinazione di contratti atipici, part-time involontario e salari stagnanti contribuisce a questa vulnerabilità.

Il livello di istruzione gioca un ruolo cruciale. Tra i lavoratori con solo la scuola dell’obbligo, il 18,2% è a rischio povertà, in aumento dal 17,7% del 2023. Per i diplomati, la percentuale è più bassa, al 9,1%, con un lieve calo dal 9,2% dell’anno precedente. I laureati registrano la situazione migliore, con il 4,5% a rischio povertà, ma questo dato segna un preoccupante aumento dal 3,6% del 2023, indicando che anche un’istruzione superiore non garantisce più una protezione assoluta.

La stagnazione dei salari reali, combinata con l’alta inflazione (+17,3% cumulativa nel 2021-2023), ha eroso il potere d’acquisto. Tra il 2013 e il 2023, i salari lordi in Italia sono calati del 4,5% in termini reali, mentre in Germania sono cresciuti del 5,7% e in Francia dell’1,1%. Questo divario spiega la crescente difficoltà dei lavoratori italiani a “arrivare a fine mese”.

La precarietà lavorativa è un fattore chiave. Nel 2023, il 16% dei lavoratori era occupato a tempo parziale, con la metà in condizioni di part-time involontario. I contratti a termine, che coinvolgono oltre la metà dei giovani tra 15 e 24 anni, contribuiscono a redditi bassi e instabilità. Gli autonomi e i lavoratori con contratti atipici, come quelli delle piattaforme, sono particolarmente vulnerabili

La povertà lavorativa rischia di generare una spirale intergenerazionale, con i figli dei lavoratori poveri che hanno meno opportunità di migliorare la propria condizione. Nel 2023, il 14% dei minori era in povertà assoluta, il valore più alto tra tutte le fasce d’età. Questo fenomeno è aggravato dalla bassa intensità lavorativa in famiglie monogenitoriali o numerose. Il Mezzogiorno registra il rischio di povertà più alto (39,2% della popolazione), mentre il Nord-est è l’area meno colpita (11,2%). La povertà lavorativa, però, mostra una “convergenza territoriale verso il peggioramento”, con il Centro Italia che si avvicina ai livelli del Sud.

Le politiche redistributive del 2024, come la riforma dell’Irpef e la decontribuzione per i lavoratori dipendenti con redditi lordi fino a 35.000 euro, hanno migliorato il reddito disponibile di 11,8 milioni di famiglie (+586 euro in media). Tuttavia, la perdita del Reddito di Cittadinanza ha penalizzato 850.000 famiglie povere, con una riduzione media di 2.600 euro annui. Queste misure non hanno affrontato strutturalmente la povertà lavorativa, che richiede interventi su salari minimi e stabilità contrattuale.

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