Il Kilimangiaro potrebbe sparire

L’eccessiva antropizzazione e lo sfruttamento dissennato del suolo, in pochi anni, hanno minato inesorabilmente gli ecosistemi. E l’uomo continua a distruggere…

Il Kilimangiaro a rischio scomparsa. Il Kilimangiaro si trova nella Tanzania nord-orientale. Coi suoi 5895 metri di altitudine è la vetta più alta del continente africano. E’ definito il “Tetto d’Africa”, un simbolo di avventura e sfida personale, una montagna maestosa e innevata che si erge isolata sulla savana, rappresentando la meta ambita da escursionisti e amanti dell’esplorazione per la sua imponenza e i panorami unici, oltre a essere un luogo di profondo significato culturale e spiritualeper le popolazioni locali.

È percepita come una montagna “dormiente” ma potentemente vulcanica, che offre un’esperienza di trekking impegnativa ma appagante, collegando il mondo della natura selvaggia alla sfida della conquista della vetta più alta del continente africano, una delle 7 cime mondiali, un obiettivo stimolante per gli alpinisti. Ora questo miracolo della natura rischia di scomparire. In un secolo si è estinto il 75% delle specie vegetali. Per la sua eterogeneità biologica, è considerato il luogo d’eccellenza di biodiversità, con ecosistemi molto vari. Purtroppo le attività antropiche stanno procurando solo danni.

Com’è possibile un cambiamento in negativo in soli 100 anni? Gli ecosistemi presenti sin dall’origine hanno agevolato lo sviluppo e il benessere dell’uomo in maniere diverse. Dall’agricoltura rispettosa dei suoi cicli naturali alla fornitura di acqua in abbondanza e di legname, dalla salvaguardia dei versanti dall’erosione e dalle inondazioni grazie alla cura della vegetazione, fino alla regolazione climatica. Con queste qualità si comprende benissimo come esso sia un ecosistema di particolare rilevanza.

Oltre ad essere un volano dell’economia locale grazie al turismo. Secondo uno studio dell’Università di Bayreuth, Germania, non esiste nessun altro luogo al mondo che abbia un numero così elevato di zone climatiche e una vegetazione estremamente variegata, in un territorio circoscritto. Si va, infatti, dalla savana col suo clima caldo-secco, alle foreste pluviali molto umide, per finire coi ghiacciai in cima. Inoltre, lungo i versanti del Kilimangiaro vivono molte comunità rurali, che possono raggiungere, perfino, una densità di 1500 individui per chilometro quadrato.

Fauna e flora hanno risentito brutalmente delle attività violente dell’uomo

La scomparsa del 75% delle specie vegetali sta provocando effetti negativi, proprio per l’importanza delle piante nell’equilibrio dell’ecosistema ambientale. Eppure non è il tanto vituperato cambiamento climatico il responsabile dello sfacelo, bensì lo sfruttamento del suolo per opera (si fa per dire) dell’uomo e del cambio di destinazione d’uso. Come se mandrie selvagge avessero devastato un suolo che si reggeva su un equilibrio consolidatosi nel tempo. In un secolo circa la popolazione ha raggiunto la ragguardevole cifra di oltre 1,4 milioni di persone.

Il primo a subire le conseguenze più dure è stato il suolo lungo i versanti. In origine la savana si estendeva per il 75% del territorio, mentre solo il 2% era utilizzato per le attività agricole e forestali. Un secolo dopo, la savana rappresenta il 18% del terreno, l’agricoltura il 26%. L’indagine ha proposto delle soluzioni. In primis, creare aree protette con diversificazioni dei sistemi agricoli e forestale.

Come sta facendo il popolo Chagga, un gruppo etnico molto numeroso, che seguendo la propria tradizione, ha impiantato degli orti articolati come prevede Madre Natura. Ossia il selvaggio cresce insieme al coltivato. Invece l’urbanizzazione ad ogni costo ha avuto il sopravvento e, adesso, si versano lacrime amare.