Il figlio di Mino Pecorelli: “L’assassino di mio padre è ancora vivo”

Parla Andrea: “Il nome di chi ha ucciso mio padre è nelle carte dell’inchiesta“. E riaccende uno dei grandi casi giudiziari irrisolti.

Roma – Sono passati 45 anni dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, Fondatore del settimanale OP (Osservatore Politico) e il delitto resta ancora senza colpevole. Le ombre e i depistaggi, le collusioni e le prove sparite, le dichiarazioni dei pentiti, i dossier dei servizi segreti, i processi che indicavano colpevoli che poi furono scagionati, fanno del caso Pecorelli il più grande cold case della storia della nostra Repubblica. Forse proprio perché riguarda le istituzioni della stessa. Ieri Andrea Pecorelli, figlio di Mino, ha dichiarato a Cusano Italia Tv: “Forse mio padre fu messo a tacere per sempre perché aveva scoperto la preparazione della strage di Bologna. L’assassino? È ancora vivo”. 

Lo aveva scoperto davvero? Certo la Strage di Bologna incrocia la storia di Pecorelli, tanto che nel 2019 la Procura di Roma ha riaperto l‘inchiesta dell’omicidio a seguito del ritrovamento di un verbale contenente le dichiarazioni dell’estremista di destra Vincenzo Vinciguerra, condannato in via definitiva all’ergastolo per la strage di Peteano: nel 1992, davanti al giudice Guido Salvini, Vinciguerra raccontò infatti di aver sentito Adriano Tilgher ( fondatore e segretario nazionale del partito politico Fronte Nazionale poi ribattezzato  ribattezzato Fronte Sociale Nazionale) una delle figure politiche più discusse degli anni di piombo, dire che la pistola utilizzata per uccidere Pecorelli era stata affidata a Domenico Magnetta, ex leader di Avanguardia Nazionale.

Mino Pecorelli

“L’assassino di mio padre è vivo e vegeto – ha aggiunto Andrea Pecorelli– e non ha certo 90 anni. Il suo nome è scritto nelle carte dell’inchiesta. Io ho un’idea molto chiara su chi gli sparò; so chi fu l’esecutore materiale del delitto, non il mandante o il movente. Diciamo che ci sono elementi che ci lasciano immaginare che quella della destra eversiva sia l’unica pista concreta e sinceramente non si riesce a capire perché non sia stata verificata e approfondita in tutti questi anni. Forse mio padre fu messo a tacere perché aveva scoperto e stava per rivelare i preparativi per la strage di Bologna del 2 agosto 1980”.

La procura di Roma ha in effetti acquisito agli atti le motivazioni delle ultime due sentenze relative al processo sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Rispettivamente si tratta della sentenza del 9 gennaio 2020, con cui è stato condannato in primo grado all’ergastolo l’ex Nar Gilberto Cavallini, e quella del 5 aprile 2022 a carico del “quinto uomo”, Paolo Bellini, anche lui condannato all’ergastolo in primo grado. Si troveranno collegamenti e indizi trasformabili in prove? O come nel caso di quello che fu definito “il processo del secolo” finirà nuovamente tutto in una bolla di sapone?  

Sull’omicidio di Pecorelli, sui moventi e sui presunti mandanti sono stati versati fiumi d’inchiostro che hanno coinvolto personaggi legati a filo doppio a politica, servizi segreti, Banda della Magliana, banche, mafia, NAR, Massoneria, Giulio Andreotti, Licio Gelli, Claudio Vitalone, Massimo Carminati, Pippo Calò e tanti altri. Tutti – o quasi – i protagonisti di un’epoca che ancora ha molto da raccontare e molto di più da nascondere.   Indubitabile il fatto che Mino Pecorelli, del suo settimanale ne aveva fatto un giornale di inchiesta e denuncia della corruzione, dei legami tra affari e politica, logge massoniche in Vaticano e pornografia. Successivamente all’omicidio, il 20 marzo 1979, quando fu ucciso con 4 colpi di una calibro 7.65 sparati a distanza ravvicinata mentre stava partendo con la sua macchina dopo una giornata di lavoro in redazione, nella tipografia del settimanale fu ritrovata l’ultima copertina di OP, senza pagine interne e titolata: “Gli assegni del Presidente“. A detta di chi gli era vicino, lo definì “un super scoop”. Ma nessuno ha mai saputo quali articoli c’erano in quel numero. A seguito dell’omicidio, in casa del giornalista furono sequestrati molti dossier segreti, che tali sono rimasti. 

La scena del crimine

Un altro mistero riguarda le modalità dell’omicidio (un colpo simbolicamente fu esploso in bocca), una morte frettolosamente archiviata come conseguenza dei colpi di pistola. Due elementi non furono approfonditi: un possibile pestaggio prima dell’omicidio e il ritrovamento di una cravatta (non di Pecorelli) accanto alla scena del crimine, mai analizzata. Gli avvocati che rappresentano i familiari del giornalista ucciso, intendono portare davanti alla Procura di Roma questi due elementi rimasti sottotraccia che, nonostante il tempo trascorso, potrebbero aprire scenari inaspettati.

L’ipotesi è che, a seguito di quattro costole rotte, e la frattura delle ossa del naso, prima di essere ucciso Mino Pecorelli sia stato vittima di un pestaggio, di cui nessuno parlo, né la segretaria (e compagna) né un collaboratore che accompagnarono il direttore di OP alla macchina. Pecorelli, prima di essere ucciso, si intrattenne alcune ore all’interno della redazione con un uomo mai identificato. Fu pestato lì?  La cravatta – se mai si ritroverà nei corpi di reato – potrebbe fornire risultanze genetiche del possibile killer.

Andrea Pecorelli

“Il mio auspicio – ha ribadito ancora Andrea Pecorelli a Cusano TV – è che finalmente il magistrato inquirente possa provare a dare quel quid in più. Si dice che questo nostro Paese non ha segreti, che non può avere misteri per sempre, eppure il mistero dell’omicidio di mio padre dura già da quasi 45 anni e quindi resiste alla possibilità di veder finalmente chiarito questo delitto. Per tanti anni purtroppo in molti non solo non hanno riconosciuto la grande attività giornalistica d’inchiesta di mio padre, ma hanno addirittura bistrattato il suo lavoro”.

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