Il dietrofront di Brunetta sull’aumento di stipendio

Il numero uno del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro annulla la delibera dopo le polemiche. Meloni aveva parlato di scelta “inopportuna”.

Una giornata di polemiche trasversali ha spinto Renato Brunetta a bloccare l’incremento retributivo per i vertici del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Con un comunicato ufficiale, il presidente dell’organo costituzionale ha annunciato la revoca immediata della delibera che portava il suo compenso a oltre 311mila euro annui.

“In qualità di presidente del Cnel, istituzione costituzionale che rappresenta le componenti sociali del Paese, intendo evitare che l’attuazione legittima di una pronuncia della Corte Costituzionale possa essere utilizzata strumentalmente, compromettendo la reputazione dell’ente che guido e influenzando negativamente il confronto politico e l’operato dell’esecutivo”, ha dichiarato Brunetta.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva espresso una posizione critica, definendo la decisione “inopportuna” e contestando la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato illegittimo il limite di 240mila euro per le retribuzioni nel pubblico impiego.

“Per questi motivi – continua il comunicato presidenziale – disporrò l’annullamento con decorrenza immediata della deliberazione dell’Ufficio di Presidenza relativa all’applicazione della sentenza. Agisco con senso di responsabilità istituzionale, con l’obiettivo di salvaguardare l’autorevolezza del Cnel e mantenere un clima di reciproco rispetto e cooperazione tra tutte le forze politiche, istituzionali e sociali”.

La scelta è maturata al termine di una giornata caratterizzata da aspre critiche provenienti dalle forze di opposizione. In mattinata, l’istituzione aveva tentato di giustificare l’operato, precisando che si trattava di una “necessaria applicazione” della decisione della Consulta che “ha ristabilito dal primo agosto il massimale retributivo di 311.658,53 euro”. La nota del Cnel evidenziava che tale disposizione riguarda anche le indennità e si estende a tutte le istituzioni costituzionali.

Le forze di opposizione sono immediatamente partite all’attacco. Matteo Renzi ha ricordato la sua proposta: “Io il Cnel volevo chiuderlo”, mentre Giuseppe Conte ha evidenziato la contraddizione: Respingono la proposta sul salario minimo ma intanto crescono gli stipendi dei dirigenti del Cnel e di Brunetta”.

Anche all’interno della coalizione di governo la vicenda ha generato tensioni. Raffaele Nevi, portavoce di Forza Italia, si è limitato a un sobrio “abbiamo preso visione del comunicato del Cnel. Ne prendiamo atto”, mentre la Lega aveva già annunciato iniziative parlamentari.

“Gli incrementi retributivi decisi in autonomia dal Cnel – aveva dichiarato Tiziana Nisini, rappresentante della Lega nella commissione Lavoro di Montecitorio – incluso quello per il presidente Renato Brunetta, devono essere riconsiderati. Depositeremo un’interrogazione parlamentare e proporremo un emendamento alla legge di bilancio che vada in direzione opposta”. Un’interrogazione che ora, dopo il dietrofront, non avrà più ragion d’essere.