Un amore travolgente, un divorzio milionario e un omicidio su commissione: la discesa agli inferi di Patrizia Reggiani e la fine tragica dell’erede della maison di moda.
Milano – Nel 1971, durante una serata mondana, si incontrano per la prima volta le vite di Maurizio Gucci e Patrizia Martinelli. L’attrazione è immediata e travolgente. L’anno successivo, nel 1972, i due convolano a nozze con una cerimonia sontuosa, nonostante la netta disapprovazione della famiglia Gucci. Il padre di Maurizio, Rodolfo, manifesta il suo dissenso in modo inequivocabile: non si presenta nemmeno al matrimonio del figlio, un gesto che preannuncia le tensioni che segneranno l’unione di Maurizio e Patrizia.
Dalla loro relazione nascono due bambine, Alessandra e Allegra, che completano il quadro di quella che – agli occhi di tutti – sembrava essere una famiglia perfetta. Gli osservatori dell’epoca non esitano a definirli una delle coppie più affascinanti del jet set internazionale, un mix di eleganza, bellezza e successo. Ma sotto la superficie dorata si nascondono tensioni e incomprensioni destinate a esplodere in modo drammatico.
La rottura e il nuovo amore di Maurizio
Nel 1985, dopo tredici anni insieme, Maurizio prende una decisione che cambierà per sempre il corso degli eventi: lascia Patrizia per intraprendere una relazione con Paola Franchi, un’amica che frequentava da tempo l’ambiente della coppia. L’abbandono segna profondamente Patrizia, che si sente tradita, umiliata e privata del suo ruolo sociale. Non è solo la fine di un matrimonio ma il crollo di un’identità costruita attorno al nome Gucci.

La separazione si formalizza legalmente nel 1994 con il divorzio, che prevede per Patrizia un assegno di mantenimento annuale di 1.500.000 dollari, una cifra considerevole che non basta a placare il suo rancore. Nonostante la fine del matrimonio, la donna continua ostinatamente a utilizzare il cognome del marito, dichiarando di sentirsi “la vera Gucci” più di chiunque altra. Un’affermazione che rivela tutta per lei accettare la nuova realtà e quanto si senta legittimata a mantenere quel ruolo, anche contro la volontà dell’ex marito.
Una mattina di sangue a Milano
Il 27 marzo 1995 segna la data di una tragedia annunciata. Sono le 8.30 quando Maurizio Gucci scende dalla sua auto e si dirige verso l’ingresso dello stabile al numero 20 di via Palestro a Milano, dove ha sede il suo ufficio. L’elegante palazzo si affaccia sui Giardini di Porta Venezia, nel cuore della città. Maurizio, come ogni mattina, scambia un saluto cordiale con Giuseppe Onorato, il portiere dell’edificio.
All’improvviso, nell’androne dello stabile, risuonano quattro spari che spezzano la quiete mattutina. Due proiettili colpiscono Maurizio alla schiena, uno al gluteo e l’ultimo, quello mortale, alla tempia. L’imprenditore crolla sui gradini di marmo mentre il portiere, nel disperato tentativo di bloccare l’assassino, viene anch’egli ferito. Il killer riesce comunque a fuggire, salendo su una Renault Clio che sfreccia via a velocità sostenuta.
Le indagini e i primi sospetti sulla famiglia
Gli investigatori inizialmente concentrano le loro attenzioni sugli affari di famiglia e sulle complesse dinamiche aziendali che caratterizzano l’impero Gucci. Dopo il decesso di Rodolfo Gucci, Maurizio aveva assunto il controllo maggioritario della maison di moda, escludendo lo zio Aldo e il cugino Paolo, quest’ultimo cacciato dopo aver tentato di lanciare una linea di prodotti con il marchio Gucci senza autorizzazione. Le faide familiari, particolarmente aspre e note nell’ambiente, sembrano offrire numerosi potenziali moventi per un omicidio così efferato.
Tuttavia, questa pista si rivela infruttuosa dopo mesi di indagini approfondite. Il nome di Patrizia Reggiani emerge gradualmente, anche perché la donna non aveva mai nascosto i suoi sentimenti: in diverse occasioni aveva dichiarato apertamente, davanti a testimoni, che avrebbe voluto vedere morto il suo ex marito. Non erano parole pronunciate a bassa voce o in privato ma affermazioni pubbliche che dimostravano l’assenza di qualsiasi prudenza.
Anche Paola Franchi, la nuova compagna di Maurizio, aveva ricevuto ripetute intimidazioni e minacce che avevano reso la sua vita un inferno. Il giorno stesso dell’omicidio, in una scena che assume contorni surreali e inquietanti, Patrizia si presenta alla residenza che Maurizio condivideva con Paola, ordinandole con tono imperioso di lasciare immediatamente la casa. La donna è costretta ad obbedire e, in un ulteriore atto di crudeltà, le viene persino impedito di partecipare alle esequie dell’uomo che amava.
La svolta
Per due anni le indagini procedono a rilento, senza risultati concreti, esplorando innumerevoli direzioni che portano tutte a vicoli ciechi. La svolta arriva nel 1997 grazie a un informatore delle forze dell’ordine che fornisce un’indicazione preziosa. Le autorità vengono indirizzate verso Ivano Savioni, portiere di un modesto albergo a una stella, che ha il difetto di non saper tenere la bocca chiusa e di vantarsi delle sue imprese.
L’uomo, incautamente, millanta di aver preso parte all’assassinio del celebre imprenditore, sostenendo di aver ricevuto appena 50 milioni di lire, una somma che ritiene inadeguata e quasi offensiva considerando le possibilità economiche della committente, che avrebbe potuto permettersi di pagare molto di più.
Gli investigatori piazzano microspie nell’hotel dove lavora Savioni, dando inizio a un’operazione che si rivelerà decisiva. Durante un’intercettazione telefonica, emerge una conversazione rivelatrice tra lui e Giuseppina Auriemma, una presunta sensitiva, ex proprietaria di boutique a Portici e Napoli, e soprattutto amica intima di Patrizia Reggiani. La Auriemma tenta di tranquillizzare Savioni con parole che suonano come una confessione: “Ascoltami, Ivano: se stiamo attenti e non commettiamo errori, non ci prenderanno mai”.
L’arresto e la ricostruzione del complotto criminale
Poche settimane dopo, la polizia arresta tutti i coinvolti nel delitto Gucci. Emerge così la trama completa dell’omicidio su commissione, un piano elaborato nei minimi dettagli. Patrizia aveva incaricato la sua amica Auriemma di trovare qualcuno disposto a eliminare Maurizio e quest’ultima aveva contattato Savioni, che a sua volta aveva coinvolto Orazio Cicala, un uomo caduto in disgrazia economica dopo il fallimento della sua pizzeria e tormentato dal vizio del gioco d’azzardo che lo rendeva vulnerabile e disposto a tutto.

Cicala aveva reclutato l’esecutore materiale: Benedetto Ceraulo, un siciliano di 35 anni con precedenti penali. La sera precedente l’omicidio, i complici avevano rubato un veicolo da utilizzare per la fuga ma in un colpo di sfortuna la polizia municipale lo aveva rimosso perché parcheggiato in divieto di sosta. Cicala aveva quindi dovuto improvvisare, ripiegando sull’automobile del figlio per portare il killer sul luogo del delitto.
Il compenso totale ammontava a 600 milioni di lire, così distribuiti tra i complici: 150 milioni a Ceraulo per aver premuto il grilletto, 350 a Cicala per il coordinamento e la guida, 50 a Savioni per l’organizzazione e 50 alla Auriemma per il suo ruolo di intermediaria. Quando venne arrestata con l’accusa di omicidio volontario premeditato, Patrizia Reggiani si presentò agli inquirenti sfoggiando preziosi gioielli e una pelliccia costosa, in una dimostrazione di ostentazione quasi teatrale, come a voler ribadire il suo status di “signora Gucci”, un titolo che sentiva le fosse stato sottratto ingiustamente e che rivendicava con orgoglio anche di fronte alla legge.
Le sentenze per i responsabili del delitto
Nel novembre 1998 il tribunale emette le sentenze di condanna, dopo un processo che tiene l’Italia con il fiato sospeso. A Patrizia Reggiani e Orazio Cicala vengono comminati 29 anni di reclusione, rispettivamente come mandante e come autista del sicario. Benedetto Ceraulo, riconosciuto colpevole di aver materialmente sparato a Maurizio Gucci, viene condannato all’ergastolo. Giuseppina Auriemma viene condannata a 25 anni per favoreggiamento e Ivano Savioni a 26 anni.
Patrizia sconta 17 anni nel carcere milanese di San Vittore, diventando una delle detenute più celebri d’Italia, fino al 2014, quando ottiene l’affidamento ai servizi sociali per completare la pena. La Auriemma esce dal carcere nel 2010 dopo 13 anni di detenzione, seguita da Savioni nel 2012. Cicala muore prima di completare la sua pena. Benedetto Ceraulo rimane l’unico ancora detenuto tra tutti i condannati per il delitto Gucci.
Il caso Loredana Canò: l’ultima beffa alla vedova nera
Anni dopo la scarcerazione di Patrizia Reggiani, emerge una nuova vicenda giudiziaria che getta un’ulteriore ombra sulla sua esistenza, dimostrando come la donna sia diventata lei stessa vittima di manipolazione. Loredana Canò, 59 anni, che aveva conosciuto Patrizia durante il periodo di detenzione e ne era diventata prima amica intima e poi assistente personale, è stata condannata a 6 anni e 4 mesi di reclusione per circonvenzione di incapace e peculato.
Secondo quanto stabilito dal Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza, la Canò avrebbe progressivamente assunto il controllo totale della vita di Patrizia, approfittando della sua fragilità psicologica. Questo processo di manipolazione si intensifica soprattutto dopo la morte della madre di Patrizia, Silvana Barbieri, che aveva lasciato alla figlia un’ingente eredità milionaria. Insieme a Marco Chiesa, all’epoca consulente finanziario, condannato a 5 anni e 8 mesi, e all’avvocato Daniele Pizzi, che aveva patteggiato 2 anni di reclusione, la Canò avrebbe orchestrato una vera e propria sostituzione dell’intera rete familiare e sociale di Patrizia.
I giudici della settima sezione penale hanno rilevato che Patrizia, a causa di problematiche psichiche che la affliggevano, non era in grado di gestire autonomamente il proprio patrimonio con adeguata consapevolezza e lucidità. Il procedimento giudiziario era stato avviato su denuncia delle figlie di Patrizia, Alessandra e Allegra, secondo le quali la Canò avrebbe manipolato la madre convincendola ad entrare in conflitto con loro per estrometterle dalla vita della Reggiani. La donna si era installata nella residenza di Patrizia, la storica Villa Andreani, gestendo ogni suo rapporto con il mondo esterno e isolandola progressivamente da chiunque potesse o volesse proteggerla.
La sentenza ha stabilito che Canò e Chiesa dovranno versare 50mila euro di provvisionale alle figlie di Reggiani come risarcimento parziale, mentre la Canò dovrà corrispondere ulteriori 75mila euro direttamente a Patrizia. I giudici, nelle oltre 80 pagine di motivazioni che ricostruiscono dettagliatamente la vicenda, hanno descritto un “disegno criminoso” caratterizzato da “fattezze predatorie”, volto a sfruttare il controllo esercitato su una persona fragile per ottenere vantaggi patrimoniali illeciti di notevole entità, con accesso diretto alle proprietà immobiliari e ai conti bancari.
La sentenza evidenzia “l’assenza di scrupoli” dimostrata nell’approfittare di una persona incapace, fingendo un interesse disinteressato e un affetto sincero nei suoi confronti, mentre in realtà si perseguivano esclusivamente finalità economiche. Come sottolineato dall’aggiunta Tiziana Siciliano durante le indagini condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, si è trattato di “una vicenda che nel giro di pochi anni è riuscita ad assumere fattezze predatorie, con un comportamento che individua una preda debole e via via assume sempre più i connotati della mancanza di limiti”.
Così, la donna che un tempo aveva ordito la morte del marito, si è trovata a sua volta vittima di chi aveva saputo riconoscere e sfruttare la sua vulnerabilità, in un epilogo amaro che aggiunge un ulteriore capitolo a una storia già segnata dalla tragedia.