Un omicidio maturato tra rivalità, segreti di paese e ossessioni sentimentali, diventato uno dei casi mediatici della cronaca nera italiana.
Avetrana – Era un caldo pomeriggio d’estate, il 26 agosto 2010, quando Sarah Scazzi uscì di casa per l’ultima volta. Quindici anni, occhi scuri e sorriso timido, la ragazza di Avetrana – piccolo centro di 7.000 abitanti in provincia di Taranto – aveva un appuntamento con la cugina Sabrina. Dovevano andare al mare, come tante coetanee pugliesi in quella torrida estate. Ma Sarah non tornò mai più a casa e quel banale appuntamento si trasformò nella premessa di uno dei casi di cronaca nera più complessi e mediatici d’Italia.
Una famiglia come tante, fino a quel giorno
La famiglia Scazzi-Misseri rappresentava il tipico nucleo allargato meridionale, dove i legami di sangue si intrecciano con affetti, convenienze e, talvolta, invidie. Sarah viveva con la madre Concetta in una modesta abitazione, mentre padre e fratello lavoravano a Milano nel settore edile, tornando ad Avetrana solo per le vacanze estive. Era una famiglia di lavoratori onesti, senza pretese particolari.

La cugina Sabrina Misseri, 22 anni, era considerata la “ragazza di città”: più moderna, disinvolta, quella che introduceva Sarah nel mondo degli adulti. Nonostante i sette anni di differenza, le due avevano sviluppato un legame molto stretto. Sabrina era per la cugina il modello da imitare. Sarah la seguiva in tutto con tipica ammirazione adolescenziale.
Michele Misseri, 54 anni, patriarca di casa Misseri, era contadino e muratore a seconda delle stagioni. Uomo dalle mani callose e carattere apparentemente mite, nascondeva però un temperamento più complesso. Sposato con Cosima Serrano – sorella della madre di Sarah – Michele manteneva buoni rapporti con la famiglia allargata.

Cosima, moglie di Michele e madre di Sabrina, era una donna riservata che covava da anni un profondo risentimento verso la sorella Concetta. Le ragioni di questo astio familiare affondavano in vecchie questioni mai risolte, probabilmente legate a diatribe ereditarie che il tempo aveva esasperato anziché sanare.
Il triangolo amoroso che innescò la tragedia
L’estate del 2010 portò ad Avetrana un elemento di disturbo: Ivano Russo, 26enne meccanico del posto. Lavoratore, di bell’aspetto, rappresentava quello che in un piccolo paese viene considerato “un buon partito”. Fu proprio intorno a questa figura che si consumò il dramma.
Sabrina si innamorò di Ivano e iniziò con lui una relazione che non ebbe l’evoluzione sperata. Il giovane interruppe bruscamente il rapporto, lasciando la 22enne in una condizione di frustrazione e umiliazione. Parallelamente, anche Sarah aveva maturato una cotta per Ivano, vedendo nel 26enne una figura affascinante e irraggiungibile.

Il punto di non ritorno si raggiunse quando Sarah, con l’ingenuità tipica dell’adolescenza, rivelò ad alcuni amici che Sabrina era stata respinta da Ivano poco prima di un rapporto sessuale. Questo dettaglio intimo, diffuso tra i giovani di Avetrana, rappresentò per Sabrina non solo un’umiliazione personale ma anche un danno alla reputazione in un contesto sociale dove l’onore aveva ancora un peso determinante.
Il giorno del delitto: 26 agosto 2010
La mattinata del 26 agosto iniziò come un normale giorno d’estate. Sarah si alzò verso le 9, fece colazione con la madre e trascorse la mattinata preparandosi per l’uscita con Sabrina. Dopo un pranzo frugale – l’autopsia rivelerà nello stomaco solo residui minimi di cibo – si cambiò indossando un top chiaro e pantaloncini scuri. Questo dettaglio apparentemente irrilevante sarebbe diventato cruciale per smascherare le bugie della cugina.
Alle 15.20 precise, Sarah uscì per raggiungere l’abitazione degli zii Michele e Cosima. La distanza era di soli 600 metri, percorribili in dieci minuti a piedi. Diversi testimoni la videro camminare tranquilla lungo la strada, con il suo cellulare Nokia dal caratteristico ciondolo a forma di lattina.
Secondo quanto emerso dalle indagini sui depistaggi, Sarah e Sabrina incontrarono Ivano in paese, dove le cugine litigarono animatamente davanti al giovane. Questo incontro, inizialmente negato da Ivano, si rivelò l’elemento scatenante della tragedia. Il 26enne, rendendosi conto di essere l’oggetto della discussione, si allontanò rapidamente ma la tensione aveva raggiunto il punto di rottura.
L’omicidio e l’occultamento
Una volta a casa Misseri, Sarah fu strangolata con una cintura larga 2 centimetri e mezzo, morendo per asfissia dopo 2-3 minuti. L’omicidio avvenne presumibilmente nel garage. Non si trattò di un gesto impulsivo ma di un’azione premeditata che vide Sabrina aggredire Sarah con l’ausilio della madre Cosima. Le lesioni sul corpo della quindicenne indicavano una colluttazione: aveva tentato di difendersi ma non aveva scampo contro due persone adulte e una corporatura minuta come la sua.

Dopo l’omicidio iniziò la fase più agghiacciante: l’occultamento del cadavere. Il corpo fu nascosto nel garage, poi trasportato e gettato in un pozzo di 20 metri nelle campagne circostanti. Michele coordinò le operazioni con l’aiuto del fratello Carmine e del nipote Cosimo Cosma, calando il corpo nel pozzo e coprendolo con un grosso masso.
Parallelamente iniziò il depistaggio. Sabrina recitò la parte della cugina preoccupata, chiamando ripetutamente il cellulare di Sarah sapendo che non avrebbe risposto. Alle 17.30 diede l’allarme, dichiarando che la cugina non si era mai presentata all’appuntamento.
Il primo errore e l’inizio della fine
Il castello di bugie iniziò a crollare per un dettaglio apparentemente banale. Quando un amico raggiunse Sabrina per aiutarla nelle ricerche, lei riuscì a descrivergli come era vestita Sarah. Ma secondo le sue stesse dichiarazioni, le cugine non si erano mai incontrate dopo pranzo, quando Sarah si era cambiata d’abito. Sabrina come poteva sapere come era vestita la cugina se non l’aveva vista?

Il caso divenne immediatamente mediatico grazie al coinvolgimento di “Chi l’ha Visto?”, il programma di Federica Sciarelli. La trasmissione di Rai 3 trasformò quello che sembrava un allontanamento volontario in un evento nazionale, creando una sovraesposizione che condizionò pesantemente le indagini.
Gli investigatori della Squadra Mobile di Taranto seguirono inizialmente l’ipotesi dell’allontanamento volontario, controllando stazioni e autostrade senza risultati. Il 29 settembre, dopo 33 giorni di ricerche, Michele “ritrovò” il cellulare di Sarah in un uliveto, un gesto che invece di aiutare le indagini insospettì ulteriormente gli investigatori.
Le confessioni di Michele: un labirinto di menzogne
Il 6 ottobre 2010, dopo interrogatori serrati, Michele crollò e confessò l’omicidio di Sarah. La rivelazione fu data in diretta a “Chi l’ha Visto?” con Sabrina e Concetta collegate da Avetrana.
Ma la confessione presentò subito incongruenze. L’autopsia smentì l’abuso sessuale sul cadavere dichiarato da Michele e molti dettagli non trovavano riscontri forensi. L’uomo iniziò a cambiare versione: il 15 ottobre chiamò in causa la figlia Sabrina, poi attribuì a lei tutte le responsabilità, ammettendo solo la partecipazione all’occultamento.
Le continue ritrattazioni di Michele rappresentarono uno degli aspetti più complessi del caso. Gli psicologi forensi individuarono diverse motivazioni: protezione della famiglia, ricerca di attenzione mediatica, senso di colpa per l’occultamento del cadavere.
Gli arresti e i depistaggi
Il 15 ottobre 2010 fu arrestata Sabrina, con l’accusa di omicidio volontario. Durante gli interrogatori continuò a proclamarsi innocente ma gli investigatori notavano crescenti incongruenze. Il 26 maggio 2011 fu arrestata anche Cosima, con l’accusa di concorso in omicidio. Il coinvolgimento della donna fu motivato con l’astio verso la sorella Concetta e la volontà di proteggere la figlia.
Il cosiddetto “processo ai silenzi”, chiuso nel 2020, portò a 11 condanne per false testimonianze e depistaggi, dimostrando l’esistenza di una vasta rete di complicità. Tra i condannati Ivano Russo (5 anni), Michele Misseri (4 anni), Carmine Misseri (4 anni e 11 mesi per concorso in occultamento di cadavere), Vito Russo Jr. ,ex avvocato di Sabrina, (1 anno e 4 mesi per favoreggiamento personale), Giuseppe Nigro (1 anno e 4 mesi per favoreggiamento personale). Le condanne relative a questo processo sono state cancellate definitivamente il 17 giugno 2021 perché il reato è andato in prescrizione a causa del prolungarsi dei tempi.
Particolarmente sconcertante fu la testimonianza del fioraio locale, che dichiarò di aver visto Sabrina e Cosima inseguire Sarah in auto, per poi ritrattare sostenendo di “aver sognato” l’intera scena. Un episodio che evidenziò il clima di omertà e paura che si era ormai creato ad Avetrana.
La verità giudiziaria
Il 27 febbraio 2013, la Corte d’Assise di Taranto emise le prime sentenze: ergastolo per Sabrina e Cosima per omicidio volontario, 8 anni per Michele per occultamento di cadavere. Il 27 luglio 2015, la Corte d’Appello di Lecce confermò le condanne. Il 21 febbraio 2017, la Cassazione rese definitiva la condanna all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione per Sabrina Misseri e Cosima Serrano.
Nel febbraio del 2024 Michele Misseri è uscito dal carcere, usufruendo di uno sconto di 41 giorni di pena e un ristoro economico di 472 euro.
Un delitto che ha cambiato l’Italia
Il delitto di Avetrana presenta caratteristiche peculiari dal punto di vista criminologico. Sabrina mostra i tratti tipici di chi commette omicidi passionali legati alla gelosia e al controllo, con personalità narcisistica e bisogno di mantenere un’immagine sociale. Cosima rappresenta il prototipo della madre che arriva a ogni estremo per proteggere la figlia, dimostrando come l’amore genitoriale, distorto da rancori familiari, possa trasformarsi in complicità criminale.

La condanna per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione stabilisce che Sabrina e Cosima avevano pianificato l’uccisione di Sarah. Gli elementi che supportano questa tesi includono la preparazione dell’alibi da parte di Sabrina, il coinvolgimento della madre nell’esecuzione, l’immediata attivazione della strategia di depistaggio e la capacità di mantenere una facciata di normalità per settimane.
Avetrana, da quel giorno, è un nome che evoca silenzio e omertà, simbolo di un amore familiare che degenera in odio e fermo immagine di un intero Paese rimasto sospeso per mesi davanti a un pozzo che nascondeva il corpo di una ragazzina di soli quindici anni.
Sarah è rimasta il volto di un’adolescenza spezzata troppo presto, vittima non solo della violenza ma anche di un mondo adulto che non ha saputo proteggerla.