Condannata per peculato, si dimette da sottosegretaria ma resta deputata: il paradosso istituzionale che divide l’opinione pubblica.
Il caso di Augusta Montaruli rappresenta uno dei paradossi più evidenti del sistema politico italiano contemporaneo. La deputata di Fratelli d’Italia, condannata in via definitiva per peculato, ha dovuto lasciare il ruolo di sottosegretaria ma continua a sedere in Parlamento, sollevando interrogativi sulla compatibilità tra condanne penali e cariche istituzionali.
La condanna definitiva
Il 17 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Augusta Montaruli a 1 anno e 6 mesi di reclusione per peculato. La sentenza definitiva riguarda l’uso improprio di fondi pubblici durante il suo mandato come consigliera regionale in Piemonte. L’accusa si riferisce a spese per circa 25.000 euro, che includevano acquisti personali come gioielli Swarovski, borse e orologi, tutti pagati con denaro pubblico.
La gravità del reato di peculato, che configura l’appropriazione indebita di denaro pubblico da parte di un pubblico ufficiale, ha reso inevitabile l’intervento della magistratura e ha portato a una condanna che, essendo passata in giudicato, non può più essere oggetto di ricorso.
Le dimissioni dal governo ma non dal Parlamento
Il giorno successivo alla sentenza della Cassazione, il 18 febbraio 2023, Montaruli si è dimessa dal ruolo di sottosegretaria all’Università e alla Ricerca. Tuttavia, ha mantenuto il seggio da deputata al Parlamento, dove continua a svolgere le sue funzioni legislative come membro di Fratelli d’Italia.

Questa scelta ha sollevato un acceso dibattito politico e sociale. Mentre la Costituzione non prevede l’automatica decadenza dal mandato parlamentare per condanne penali (salvo specifiche eccezioni), molti osservatori hanno sottolineato l’incongruenza morale di mantenere un ruolo istituzionale dopo una condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione.
Il nuovo incarico in RAI
Nonostante la condanna, il 14 marzo 2023 Montaruli è stata nominata componente della commissione di vigilanza RAI, un organo parlamentare di controllo sul servizio pubblico radiotelevisivo. Questa nomina ha ulteriormente alimentato le polemiche, con l’opposizione che ha denunciato l’inappropriatezza di affidare un ruolo di controllo su un ente pubblico a chi è stato condannato per aver sottratto fondi pubblici.
La proposta sui 5 anni di carcere per la cannabis
Una delle proposte più controverse firmate da Montaruli riguarda l’inasprimento delle pene per i reati legati agli stupefacenti. La deputata ha presentato una proposta di legge che prevede di elevare la pena massima a 5 anni di carcere per i reati di “lieve entità” legati alla produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti.

L’attuale normativa prevede, per i casi di “lieve entità”, una reclusione da sei mesi a quattro anni ma la proposta di Fratelli d’Italia andrebbe a modificare gli articoli 73 e 85 bis del decreto del Presidente della Repubblica in materia di stupefacenti, proponendo un innalzamento delle pene da 4 a 5 anni.
Questa iniziativa legislativa ha suscitato particolari polemiche considerando che proviene da una deputata condannata per peculato. L’ironia della situazione non è sfuggita ai critici: mentre Montaruli propone pene più severe per chi detiene piccole quantità di cannabis, lei stessa non ha scontato nemmeno un giorno di carcere nonostante la condanna definitiva per aver sottratto denaro pubblico.
Le reazioni e le polemiche recenti
Il caso Montaruli è tornato alla ribalta dell’opinione pubblica in tempi recenti. Il 6 febbraio 2025, durante una trasmissione televisiva, la deputata ha reagito con versi (“bau bau”) a chi le ricordava la condanna definitiva, un episodio che ha scatenato nuove critiche sulla sua condotta istituzionale.
L’atteggiamento della deputata ha alimentato il dibattito sulla necessità di maggiore senso delle istituzioni da parte degli eletti, soprattutto quando coinvolti in vicende giudiziarie che riguardano l’uso improprio di denaro pubblico.
Il vuoto normativo e la questione morale
Il caso Montaruli evidenzia un vuoto normativo nel sistema italiano. Mentre per alcune cariche di governo esistono incompatibilità automatiche in caso di condanna, per i parlamentari la situazione è più complessa. La Costituzione prevede la decadenza solo per specifici reati, lasciando ampio margine di discrezionalità politica.

Questo vuoto solleva questioni fondamentali sul rapporto tra legalità e legittimità democratica. Se dal punto di vista strettamente giuridico Montaruli può mantenere il seggio, dal punto di vista etico e politico la sua permanenza in Parlamento alimenta il dibattito sulla credibilità delle istituzioni.
Le voci dell’opposizione e della società civile
L’opposizione parlamentare ha più volte chiesto le dimissioni di Montaruli dal Parlamento, sostenendo che chi è stato condannato per reati contro la pubblica amministrazione non può rappresentare i cittadini nelle istituzioni. Anche diverse associazioni della società civile hanno espresso preoccupazione per questo precedente, temendo che possa normalizzare la presenza di condannati negli organi istituzionali.
Dall’altra parte, i sostenitori della deputata argomentano che, non essendoci un obbligo legale di dimissioni, la questione dovrebbe essere valutata esclusivamente sul piano politico dai suoi elettori.
Un precedente che fa discutere
Il caso di Augusta Montaruli si inserisce in un panorama più ampio di rapporti complessi tra politica e giustizia in Italia. La sua scelta di mantenere il seggio parlamentare dopo una condanna definitiva per peculato rappresenta un precedente significativo che alimenta il dibattito pubblico sulla necessità di riforme che rendano più stringenti le incompatibilità per i rappresentanti delle istituzioni coinvolti in reati contro la pubblica amministrazione.
La vicenda rimane emblematica delle contraddizioni del sistema politico italiano, dove spesso la legalità formale e l’opportunità politica sembrano seguire logiche diverse, lasciando ai cittadini il compito di giudicare se chi è stato condannato per aver sottratto denaro pubblico possa ancora rappresentarli legittimamente nelle istituzioni democratiche.