Se queste storie di pendolarismo estremo non fossero altro che la cronaca di una verità reale chi permette simili contratti da fame dovrebbe sprofondare dalla vergogna. Trattare i precari con salari da terzo mondo ci ricorda lo sfruttamento dei lavoratori in nero delle campagne.
Napoli – La notizia della “povera” ragazza che ogni giorno era costretta a salire sul treno Napoli-Milano per andare a lavorare ha fatto il giro del mondo un paio di settimane fa. O, meglio, il giro del mondo virtuale. Ma ormai si sa, basta una “breve” appetitosa in grado di attirare un maggior numero di “follower” che ti ritrovi un servizio nelle prima pagine dei giornali on line, anche dei più blasonati. Cosi è stato per la storia, o forse storiella, di cui è stata e rimane protagonista Giuseppina Giugliano, 29 anni, partenopea, collaboratrice scolastica o, come si diceva una volta, bidella, assunta a tempo indeterminato presso il liceo artistico Umberto Boccioni di Milano.
La donna ha avuto la “disgrazia” di raccontare la sua vicenda, segnalata da un’insegnante, ad un quotidiano on line. Giugliano ha parlato del suo stipendio da 1.165 euro al mese che non le consentiva di vivere in una città costosa come Milano preferendo dunque il treno che, ogni giorno, la portava dalla sua città in riva al mare sul posto di lavoro immerso nella nebbia del capoluogo lombardo. Mille e 600 chilometri di treno, dieci ore circa fra andata e ritorno, che sfiancherebbero chiunque ma non Giuseppina Giugliano che si alzerebbe molto prima dell’alba e non tornerebbe a casa che a sera inoltrata, 5 giorni su 7, alla “modica” spesa di circa 400 euro al mese. Dice lei.
A conti fatti le rimarrebbero in tasca 700 euro, più o meno un caffè o una colazione. Appena uscita in rete la notizia la nostra bidella diventava subito un’eroina, una persona da imitare, un ideale, un punto di riferimento, la vera alternativa a chi preferisce oziare con il reddito di cittadinanza in tasca. Solidarietà e affetto da milioni di followers che commentano positivamente le scelte della Giugliano, che diventa la pendolare più famosa del momento. La notorietà “positiva” dura da Natale a Santo Stefano, come dicevano i nostri nonni.
Infatti già un giorno dopo il solito “infame” che si nasconde in rete assieme a chi strumentalizza politicamente la notizia, mettono in dubbio le dichiarazioni della bidella su cui si abbatte l’odiosa mannaia della calunnia. In poche parole un utente Facebook pubblicava un post in cui sosteneva che, durante una trasmissione radiofonica nazionale, un giornalista aveva intervistato la preside del Boccioni secondo la quale la nostra già “ex eroina” avrebbe lavorato in istituto solo due giorni dall’inizio dell’anno scolastico.
Quell’intervista non sarebbe mai avvenuta, a detta dello stesso utente di Fb, che rettificava le proprie accuse qualche ora dopo. Ormai però la macchina del fango si era messa in moto e per la Giugliano erano solo insulti e imprecazioni, oltre che calunnie e diffamazioni vere e proprie. Giugliano è menzognera, Giugliano non lavora, la solita napoletana e cosi via. Stessa cosa su Twitter e altri social. Insomma uno strazio che è durato giorni e che non si è ancora arrestato perché sarebbero difficoltose le stesse verifiche da parte dei giornalisti che, alla vecchia maniera, si sarebbero recati alla Boccioni per saperne di più. A scuola bocche cucite per ovvi motivi di privacy.
Della Giugliano anche gli alunni sanno poco, qualcuno addirittura non la conosce. In poche parole questa santa donna ha fatto ciò che sostiene? Se l’ha fatto avrà pure una ricevuta di Italo, il treno che dice di aver preso per mesi. Prendiamo per buona questa versione e se cosi fosse qualcuno dovrebbe spiegarci, e qui sta il vero scandalo, come fa la Giugliano a vivere con poco più di mille euro al mese. Come si può costringere un lavoratore a scelte poco dignitose come quella di rimanere in treno quasi mezza giornata per dedicare l’altra mezza alla sua occupazione e a tutto il resto.
Altro che vergogna, altro che invettive contro una scuola che non funziona e che distribuisce salari da fame ai suoi dipendenti. La bidella però si sarebbe assentata diversi giorni per malattia e avrebbe chiesto anche un giorno di congedo. Ma del resto si sa poco o nulla. Appena finita la vicenda della Giugliano è salita alla ribalta del web e dei media un’altra storia di pendolarismo estremo, quella che ha per protagonista Salvatore Sorrentino, bidello precario all’Isis Mattiussi-Pertini, con contratto di 6 ore settimanali a 200 euro.
Da 4 anni, tutte le settimane, il giovane prende un treno che da Napoli lo porta in Friuli, più esattamente a Pordenone, e alla fine del turno torna a casa:
“Completato il mio orario di lavoro settimanale torno a dai miei – racconta Sorrentino – generalmente arrivo all’alba di domenica. Andata e ritorno percorro 1.600 chilometri a bordo di bus, treni o aerei. Da quattro anni faccio il pendolare per un giorno di servizio a settimana. A scuola, ogni sabato, i colleghi mi chiedono com’è andato il viaggio della speranza”.
Qualora anche questa vicenda, come centinaia di altre, non fosse altro che la cronaca di una verità reale chi permette tutto questo dovrebbe sprofondare dalla vergogna. E’ impossibile rendere legali simili contratti da fame che ci ricordano tanto da vicino lo sfruttamento del lavoro nero. Chi avalla situazione del genere è un caporale, altro che Scuola pubblica.