La scelta di Riccardo Chiaroni dopo la condanna a vent’anni per il triplice omicidio dei genitori e del fratello 12enne.
Paderno Dugnano – A meno di un anno dalla sentenza che lo ha condannato alla pena massima, il giovane autore della strage familiare di Paderno Dugnano ha deciso di non impugnare la condanna. Riccardo Chiaroni, oggi diciannovenne, aveva diciassette anni quando uccise i genitori e il fratello di dodici anni nella villetta di famiglia, in una notte che sconvolse l’Italia. Ora, dal carcere minorile dove sta scontando la pena, ha comunicato al suo legale la volontà di accettare i vent’anni inflitti dal Tribunale per i minorenni di Milano e di non presentare ricorso in Appello.
La decisione rappresenta una svolta inattesa. “Si sta rendendo conto di quanto ha compiuto e vuole espiare la sua pena”, ha dichiarato l’avvocato Amedeo Rizza, difensore del ragazzo. Le parole del legale tracciano il profilo di un giovane che sta compiendo un percorso di consapevolezza all’interno dell’istituto dove è detenuto, dedicandosi agli studi universitari e a un trattamento terapeutico.
La scelta appare ancora più significativa se si considera che, dal punto di vista tecnico-giuridico, esistevano margini per un ricorso. Lo stesso avvocato Rizza non nasconde le perplessità sulla sentenza di primo grado: “La sentenza è errata sia per il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente sia per la pena eccessiva rispetto alle attenuanti riconosciute”.
Effettivamente, il 27 giugno 2025 il Tribunale per i minorenni di Milano aveva inflitto la pena massima prevista nel rito abbreviato – vent’anni di reclusione – senza tenere conto della perizia psichiatrica che aveva individuato un vizio parziale di mente. I giudici avevano ritenuto il giovane pienamente capace di intendere e di volere nel momento in cui aveva compiuto il triplice omicidio, pur riconoscendo le attenuanti generiche con prevalenza sulle aggravanti.
Questo elemento avrebbe potuto costituire un punto centrale di un eventuale appello: la valutazione della capacità mentale dell’imputato e il peso da attribuire alle perizie psichiatriche. Tuttavia, Chiaroni ha scelto di non percorrere questa strada. “La difesa non può che rispettare la volontà dell’assistito”, ha sottolineato Rizza, evidenziando come questa decisione rappresenti “un passo importante nel percorso di consapevolezza del ragazzo”.